Ferrero e Ferrari scalzano Walt Diseny collocandosi rispettivamente al primo e secondo posto della classifica Italy RepTrak del Reputation Institute che, giunto alla sesta edizione, misura la reputazione delle 150 aziende più apprezzate in Italia. Confermato, dunque – come emerso in occasione dell’evento di lancio, i Reputation Awards promossi con il patrocinio di Ferpi e Iulm – il podio dell’edizione 2017 ma Walt Disney scende sul gradino più basso. Ecco la top ten:
1. Ferrero (80,9)
2. Ferrari (80,7)
3. Walt Disney (79,1)
4. Lavazza (78,8)
5. Canon (78,7)
6. Samsung (78,6)
7. Lego (78,4)
8. Amazon (77,4)
9. Pirelli (76,5)
10. Giorgio Armani (76,5)
Walt Disney perde 6,3 punti percentuali, ma anche Ferrero (-3,8) e Ferrari (-3,5) lasciano sul campo qualche punto rispetto all’edizione 2017. Così come Lego, Lavazza e Amazon che rimangono in top ten; Lavazza salendo dal sesto al quarto posto, Amazon scendendo dalla quinta all’ottava posizione, Lego dalla quarta alla settima piazza. Entrano nelle prime dieci Canon (quinta), Samsung (sesta), Pirelli (nona con 21 posizioni guadagnate) e Giorgio Armani (decima).

A presentare i risultati della sesta edizione di RepTrak a Milano al Museo Nazionale della Scienza e delle Tecnologia sono intervenuti il suo direttore generale Fiorenzo Galli, Fabio Ventoruzzo, vice president Reputation Institute Italy, Stefano Cini, managing director Reputation Institute Italy, Alessandro Detto, vice president Reputation Institute Emea ed Enrico Bertolino.

Secondo Reputation Institute, che può fare affidamento per le sue ricerche e sondaggi su una rete di 350 chief communications officer a livello globale, la reputazione delle aziende in Italia è scesa di 3,5 punti percentuali rispetto all’indice dello scorso anno, portando il valore medio al punteggio di 67,3 punti/100.
Pesano, in particolare, il crollo del settore telco (-7,8%), in un anno caratterizzato dalle polemiche per le “bollette a 28 giorni” e il continuo indebolimento della reputazione di banche (-3,8) e assicurazioni (-2,3). A dimostrazione, secondo Reputation Institute, di come la reputazione sia particolarmente fragile nei settori in cui “la percezione pubblica è in balia del racconto collettivo spesso basato sull’emotività”. Non aiuta nemmeno la battuta d’arresto dell’automotive (-3%) alle prese con le crisi legate alle emissioni.
In un anno in cui, constata Reputation Institute, “sono cresciute le aspettative degli italiani sul ruolo sociale delle aziende”, crolla la reputazione di alcuni big come: Amazon (-4,7) e Ikea (-7,1) alle prese con due crisi nella percezione del loro workplace, Apple (-10,4) e Facebook (-9,1), per via delle crisi legate alla poca trasparenza dimostrata.
Passando in rassegna la classifica, poi si scorge Google in undicesima posizione, De Agostini quindicesima, seguita da Bmw e Sofidel.
Tra gli editori, ventiquattresima posizione per Mondadori, La7 settantacinquesima, Sky novataquattresima; Mediaset chiude in 113esima piazza seguita da Rcs 114esima. Entra Gedi in 120esima posizione. Rai 148esima.
Microsoft è in ventottesima posizione, Ibm ottantaseiesima, Ebay novantaseiesima, Facebook solo 144esima. E Netflix chiude in quarantunesima posizione.
Tra le auto Nissan è in cinquantaseiesima posizione, Psa ottantanovesima, Renault novantacinquesima. Assente Audi, ma soltanto perché il brand rientra in Volkswagen che chiude al 106esimo posto.
I settori che godono della migliore reputazione sono l’elettrico e l’elettronica, lusso, beverage e food. In generale, secondo gli standard di Rep Trak, una reputazione “eccellente” è rappresentata da un punteggio complessivo di 80 punti o superiore, un punteggio di 70-79 è considerato “forte”, 60-69 è “media”, mentre 40-59 è “debole”.
“In un periodo caratterizzato da una crescente sfiducia nei confronti della politica e delle Istituzioni, crescono inesorabilmente le attese nei confronti delle aziende, oggi impreparate a guidare quel cambiamento atteso dai consumatori”, ha affermato Fabio Ventoruzzo, vice president di Reputation Institute. “Le aziende devono trovare il coraggio di guardare oltre la profittabilità del business nel breve termine. Le grandi imprese, anche se di settori diversi, devono avere interessi e progettualità convergenti per proporre una visione di medio-lungo periodo, assumendosi una leadership autentica e credibile proprio in un momento di vuoto della rappresentanza”.
“Il calo della reputazione non è dovuto all’aumento del numero degli ostili nei confronti dell’azienda ma è influenzato dall’incremento significativo degli indecisi”, spiega Stefano Cini, managing director di Reputation Institute Italy. “Sono questi i consumatori che le aziende devono riconquistare e convincere per rafforzare il legame emotivo con gli italiani”. Anche perché “se prima era sufficiente raccontare ‘cosa fanno’ e ‘chi sono’ le aziende, oggi cresce l’aspettativa degli italiani nel chiedere il ‘perché’ le Aziende devono essere scelte. Gli italiani chiedono di creare ‘valore condiviso’, ossia influenzare positivamente i temi sociali attraverso i propri prodotti/servizi”.
Ulteriore evidenza della ricerca è il fatto che, a fronte di un 52% di aziende che hanno a disposizione strumenti per valutare la reputazione ma si limitano a osservare passivamente cosa succede, c’è un 33% che ha iniziato a cercare risposte e che è a buon punto e un 15% che ritiene di aver già messo in atto tutte le pratiche utili ad accrescere la propria reputazione.
Infine, metà delle aziende (51% ) non ha ancora messo a budget spese per la gestione della reputazione.