Facebook ancora nel mirino sul fronte della violazione della privacy. Secondo quando scrive il ‘New York Times’, il social nel tempo avrebbe stipulato accordi con almeno 60 produttori di smartphone, tablet e altri dispositivi mobili, permettendo loro di accedere ai dati personali di migliaia di utenti e dei loro contatti senza esplicito consenso.Tra i gruppi coinvolti ci sarebbero Apple, Amazon, BlackBerry, Microsoft e Samsung.

La maggior parte di questi accordi basati sulla condivisione dei dati personali – scrive il New York Times – è ancora in vigore e ha permesso a Facebook di estendere enormemente il suo raggio d’azione, lasciando i produttori di dispositivi mobile liberi di offrire e diffondere ai propri utenti alcuni dei servizi più popolari che caratterizzano il colosso dei social media. In cambio Facebook ha permesso a gruppi come Apple e Samsung di accedere alle informazioni personali degli utenti social, anche nei casi in cui questi ultimi erano convinti di aver negato ogni condivisione dei propri dati.
Dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, questa nuova vicenda rischia di sollevare un nuovo polverone sul social. I vertici di Menlo Park infatti hanno sempre parlato di una stretta sulla raccolta di dati personali a partire dal 2015, ma avrebbero omesso di svelare alcune eccezioni. Tra queste proprio quella riguardante i produttori di smartphone, tablet ed altri dispositivi.
A stretto giro è arrivata la replica del social, firmata dal vicepresidente Ime Archibong. Facebook ha dato accesso ai dati degli utenti ai costruttori di dispositivi mobili al solo scopo di portare il social network sui diversi smartphone esistenti, in un periodo in cui non c’erano i negozi di app, ha spiegato, sottolineando come i costruttori abbiano “firmato accordi che impedivano l’uso delle informazioni” per scopi diversi, e chiedendo il consenso degli utenti.
Nella risposta al Nyt, Facebook, spiegando la situazione, evidenzia di non essere a conoscenza di abusi. “Nei primi giorni del ‘mobile’ – ricorda Archibong – non c’erano negozi di app, quindi aziende come Facebook, Google, Twitter e YouTube dovevano lavorare direttamente con i produttori di sistemi operativi e dispositivi per portare i loro prodotti nelle mani delle persone”. “Abbiamo creato una serie di API (interfacce di programmazione di una app, ndr) che hanno consentito alle aziende” di portare Facebook sugli smartphone.
“Nell’ultimo decennio – ha confermato il manager – circa 60 aziende li hanno utilizzati, tra cui Amazon, Apple, Blackberry, HTC, Microsoft e Samsung”.
“Dato che queste API hanno consentito ad altre società di ricreare l’esperienza di Facebook, le abbiamo controllate in modo stretto sin dall’inizio. Questi partner hanno firmato accordi che impedivano l’utilizzo delle informazioni degli utenti per scopi diversi”. Inoltre “i partner non potevano integrare le informazioni nei dispositivi senza il permesso dell’utente”.
“Contrariamente alle affermazioni del New York Times, le informazioni degli amici, come le foto, erano accessibili sui dispositivi solo quando le persone decidevano di condividere le proprie informazioni con quegli amici”, ha proseguito il manager, rimarcando: “Non siamo a conoscenza di eventuali abusi da parte di queste aziende”.