Continuano le reazioni alle dichiarazioni, in merito ai finanziamenti all’editoria, rilasciate da Vito Crimi, il sottosegretario con delega all’editoria, prima durante la sua audizione alla commissione Cultura della Camera, dove ha esposto le linee programmatiche del suo Dipartimento, poi in un’intervista a Radio Radicale, e in seguito intervenendo al Rousseau City Lab a Cesenatico. All’incontro con i sostenitori dei 5stelle ha ribadito: “Sicuramente cambieremo l’approccio, quindi non più finanziamenti diretti agli editori ma i finanziamenti, se devono esserci, e graduali fino a sparire, devono essere dati al sistema, dobbiamo fare cultura dell’informazione”.
Entrando nel merito, Crimi ha puntualizzato: “Il progetto che ho provato a proporre e che cercheremo di portare avanti nelle commissioni parlamentari, quello di incentivare l’acquisto di abbonamenti digitali, cioè spostiamo l’incentivo al lettore, alla domanda più che all’offerta. Significa che gli editori devono cominciare a ragionare nell’ottica di essere accattivanti, di fare comunque una informazione che sia acquistata, e noi agevoliamo quel tipo di cultura, cultura dell’informazione, e noi aggiungiamo digitale”.
Tutto ciò, ha sottolineato il sottosegretario “in modo da accompagnare sempre di piu’ il sistema editoriale verso il settore digitale, un sistema di comunicazione diversa. Dobbiamo finanziare delle start up, incentivare aziende che fanno innovazione, ma non che inseguono l’innovazione degli altri , non che rincorrono ciò che avviene nel mondo ma che facciano proprio qualcosa di nuovo”.

Sul Manifesto di oggi, Vincenzo Vita, che nella sua attività politica si è sempre dedicato ai temi dell’informazione ricoprendo, tra l’altro, dal 1996 al 2001 il ruolo di sottosegretario del ministero delle Comunicazioni con i governi Prodi, D’Alema e Amato, commenta in modo preoccupato i progetti di Crimi, che giudica non “privo di pre-concetti”. “Il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione non è di suo gradimento”, commenta Vita. “O meglio, si suggerisce un rovesciamento dell’ordine degli addendi: dal finanziamento delle testate al contributo ai lettori. Peccato che, in una simile eventualità del resto da tempo ipotizzata dai grandi gruppi editoriali in crisi di vendite, tutte le vacche diventerebbero nere”.
“Ne farebbero le spese”, continua Vita, “proprio i giornali meno tutelati dal mercato, per i quali fu immaginato il sostegno pubblico. Quest’ultimo non ha senso se riguarda indiscriminatamente ricchi e poveri, se mischia quotidiani di movimenti e cooperative (vere) o legati al territorio con le strutture più forti e relazionate. Come è noto, gli editori puri in Italia scarseggiano. Non a caso i cosiddetti contributi indiretti furono aboliti diversi anni fa, salvo lo sconto per le utenze telefoniche. In uno stato democratico che intenda tutelare la libertà di espressione contro le censure politiche ed economiche l’utilizzo della leva pubblica è indispensabile. Del resto, in numerosi Paesi è così. Con cifre superiori a quelle italiane”.
Vita sottolinea che quando Crimi sbaglia quando fa riferimento all’entità del fondo per l’editoria “che non è tra i maggiori bensì tra i minori degli interventi statuali. 58 milioni di euro per una cinquantina di testate, meno della metà di quanto fossero dieci anni fa. Insomma, si tratta di un ribaltamento della realtà, figlio di un furore ideologico che stride con il bon ton del sottosegretario. Sembra una cambiale da pagare alle spinte e alle suggestioni comiziali contro i giornali di partito. Che, va ricordato agli aderenti del Mov5Stelle, non esistono da tempo”.
Per chi avesse avere informazioni precise sui contributi diretti alle imprese editrici nel 2017, ci sono a disposizione i dati del Dipartimento informazione editoria , da cui risulta che sono stati attribuiti a 46 imprese, e che le somme maggiori sono state destinate a Avvenire (2.519.173,47 euro), Libero (2.218.601,31euro), Italia Oggi (2.037.216,81 euro). Altri contributi sono stati andati a sostegno di 105 imprese esercitate da società la cui maggioranza è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali che non hanno scopo di lucro.