“Da persona che lavora ormai da anni sui social della Cgil e ha maturato una qualche esperienza su limiti, pericoli e potenzialità di questi media, voglio cogliere l’occasione della discussione in corso per invitare tutto il gruppo dirigente della Cgil, a tutti i livelli, ad avviare una riflessione seria ma veloce su come stare sui social e come usarli. Perché è in gran parte lì che oggi si formano opinioni e convinzioni”. A chiederlo, in un post pubblicato dal blog del Centro studi Adapt Marco Biagi, è Esmeralda Rizzi, ufficio stampa Cgil e responsabile social media.
Scrivendo il giorno dopo “uno dei direttivi più delicati degli ultimi tempi”, Rizzi rende noto che “quasi tutti gli interventi li hanno in qualche modo tirati in ballo. Molti si sono lamentati di avere subito attacchi su Facebook, un problema non nuovo per tutti noi. Altri dell’uso che se ne fa. Più in generale se ne è parlato solo in termini di malcostume e potenziali pericoli. Ma i social – puntualizza – sono un mezzo, un media, non vanno demonizzati né santificati, esistono e dobbiamo farci i conti”.
“Serve organizzarci”, scrive la responsabile social della Cgil. “Non serve dire, i social fanno schifo non vanno usati. Purtroppo, e un po’ anche per fortuna, le persone oggi si informano sui social e noi dobbiamo imparare a starci. Purtroppo perché è sui social che la verifica delle fonti sparisce e vince il linguaggio più violento. Per fortuna perché sono comunque uno spazio aperto dove poter pubblicare, dire, raggiungere persone che altrimenti oggi non raggiungeremmo”.
A chi ispirarsi? “Le organizzazioni che stanno al Governo e quelle ideologicamente loro vicine sanno usare molto bene la rete”, nota l’addetta stampa. “Hanno investito risorse, costruito squadre di comunicazione ufficiali che si muovono come falangi, ma anche e soprattutto un sistema di informazione parallelo che sistematicamente fa disinformazione. E spesso noi non ce ne rendiamo conto. Perché se ci insultano sulle nostre pagine o profili, li vediamo e possiamo anche provare a rispondergli o reagire. Ma nella maggior parte dei casi disinformazione e fake news vengono veicolati su pagine e profili che non seguiamo o su social che non presidiamo, come Youtube per esempio. E se non li seguiamo, non li vediamo. Funzionano così i social: ci mostrano solo quello che “vogliamo vedere”. Ignoriamo così l’esistenza di pagine e pagine che alimentano diffidenza e risentimento nei nostri confronti raccontando balle o dando interpretazioni forzatissime a fatti veri”.