“La via della seta porta fabbriche, non merci”: è condensato in queste parole l’approccio di Zeno D’Agostino, presidente dell’autorità portuale di Trieste, riguardo al tema della partecipazione italiana alla Belt & Road initiative, l’ambizioso progetto infrastrutturale che ha nel porto del capoluogo giuliano uno dei suoi snodi principali in Europa.
Un concetto che D’Agostino ha esposto lunedì 30 aprile nella torre del Lloyd del porto triestino, durante la presentazione del volume scritto da Francesco De Filippo, direttore dell’Ansa del Friuli Venezia Giulia, La nuova via della seta. Voci italiane sul progetto globale cinese, pubblicato da Castelvecchi: un’indagine sulle opportunità offerte all’Italia e all’Europa dall’iniziativa cinese, condotta attraverso lunghe interviste a economisti, imprenditori ed esperti di logistica italiani e stranieri, tutti in qualche modo legati al Dragone, tra cui Andrea Illy, Gabriele Galateri di Genola, Vincenzo Boccia, Parag Khanna e Dominick Salvatore.
“Le merci”, ha detto D’Agostino dialogando con De Filippo e il direttore del Piccolo Enrico Grazioli, “sono qualcosa di cui ragioniamo oggi, una preoccupazione a breve termine. Nel lungo periodo invece si capisce che questo territorio – non ristretto al porto di Trieste, ma nel sistema complessivo che si sta costruendo – diventa un luogo perfetto per la localizzazione in Europa di aziende di tutti i tipi, e non solo cinesi, perché qui si avrà la possibilità di produrre per distribuire non solo nel nostro continente, ma anche in Asia. Quando qualcuno a livello globale dovrà decidere dove collocare le sue imprese in Europa, non ragionerà più solo sui porti del Nord Europa, ma prenderà in considerazione anche sul sistema logistico imperniato sul porto di Trieste”.
Tale prospettiva, secondo il presidente dell’autorità portuale triestina, è resa ancora più interessante da una constatazione: “L’Europa che conta oggi è sempre più orientata a Est. Negli ultimi vent’anni la localizzazione fisica delle imprese manifatturiere del nostro continente si è via via spostata in questa direzione, e l’Adriatico ha assunto una nuova centralità che fino a poco tempo fa non aveva”. Inoltre, ha sottolineato D’Agostino, “il porto di Trieste è inserito nel Nord Est italiano, un territorio che in alcuni settori ha un patrimonio di cervelli e competenze all’avanguardia a livello globale, disperso però in molte piccole realtà
che in questi ultimi anni hanno sofferto il fatto di non avere la dimensione necessaria per affacciarsi sul mercato globale, o per sopportare certi tipi di investimenti per crescere. Il nostro ruolo è favorire un matrimonio tra la disponibilità finanziaria cinese e il nostro know how, per creare un’integrazione globale tra Europa e Asia che parta da qui”.
E’ stato chiaro D’Agostino. “Io non sono un fan della via della seta o dei cinesi in particolare”, ha detto. “Sono un fan di questo porto, di questo sistema, e tutte le occasioni per me sono opportunità: lavoriamo con lo stesso entusiasmo sulle proposte che arrivano dalla Cina così come su ogni altra, tanto è vero che a Trieste stanno investendo danesi, svizzeri, austriaci, tedeschi, olandesi, ungheresi. Il punto che va tenuto ben fermo è un altro: a prescindere dalla via della seta, nessuna opportunità è un rischio se noi abbiamo le idee chiare. Il rischio c’è solo se è qualcun altro a comandare la situazione. Per noi invece, tutto è opportunità, in quanto abbiamo un puzzle già definito di dove vogliamo andare, e i tasselli degli investimenti si inseriscono in questo puzzle. È questa l’‘arroganza’ con cui ci poniamo sul mercato internazionale, e che ci differenzia da quello che è successo al Pireo”.