I piani di CDB per Gedi: risanare investendo sul digitale e una Fondazione. Ho fatto crescere il valore in Borsa, Cir dovrebbe ringraziarmi

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Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera di oggi intervista Carlo De Benedetti. Ne riportiamo qui di seguito ampi stralci.

Ingegner De Benedetti, lei il 14 novembre compirà 85 anni. Che senso ha ricomprarsi Repubblica e il gruppo Gedi?

«Sono ben conscio della mia età. Ma mi sento molto bene. E sono in condizioni di condurre in porto un’operazione in due tempi».

«Il primo: raddrizzare la gestione dell’azienda, che è stata del tutto inefficace».

Carlo De Benedetti (ANSA/FABIO FRUSTACI)

Perché dice questo?

«Non lo dico io; lo dice il mercato. Il metro dell’inefficacia della gestione è il prezzo di Borsa cui il titolo è precitato: 25 centesimi. È un’azienda senza vertice e senza comando. Una nave senza capitano, in balia di onde altissime: perché il mestiere dell’editoria quotidiana non è facile in nessuna parte del mondo».

Quale soluzione propone?

«Riprendere a investire pesantemente in un settore in cui Repubblica per anni ha eccelso: il digitale. Poi verrà il secondo tempo. Una volta che l’azienda sarà in condizione di navigare, pur sapendo che i mari resteranno procellosi, dobbiamo trovare un approdo».

Vale a dire?

«Portare le mie azioni, convincendo gli altri azionisti a fare altrettanto, in una Fondazione. Una Fondazione cui parteciperanno rappresentanti dei giornalisti, dirigenti del gruppo, personalità della cultura. L’obiettivo è assicurare un futuro di indipendenza a un pezzo di storia italiana».

(…)

Dovrà prima convincere i suoi figli. Ha parlato con loro?

«No. Sarebbe stato inutile, perché non accettano le premesse: riconoscere che non sono capaci di fare questo mestiere».

Sono parole molto dure.

«I miei figli sanno fare bene altri mestieri. Ma non hanno la passione per fare gli editori. Non hanno neanche la competenza; ma prima di tutto non hanno la passione. E senza passione non puoi fare un mestiere così particolare, artigianale, per il quale occorrono sensibilità, gusto estetico, cultura, capacità di conduzione di uomini, talento per mettere insieme un’orchestra e il direttore che la dirige, decidere quale spartito suonare. I miei figli, in particolare Rodolfo, lo considerano un business declinante; e non hanno neanche torto. Ma questo significa considerarlo un mestiere qualsiasi; e invece l’editore non è un mestiere qualsiasi. La grande ingenuità dei miei figli è continuare da tempo a cercare un compratore per il gruppo. Una ricerca inutile: in Italia un compratore non c’è».

Si è parlato di fondi di investimento.

«Io parlo di editori. Un compratore c’è sempre. Ma il mestiere dell’editore è talmente difficile e ingrato che, se uno decide di comprare un oggetto come Repubblica, lo fa per difendere altri interessi: politici o economici».

Un giornalista che di economia si intende, Paolo Madron, ha definito la sua un’ «offerta dimostrativa». Cioè insufficiente. Pensa a un rilancio? A un’Opa?

«Intanto gli azionisti Cir dovrebbero ringraziarmi per questo regalo piuttosto consistente: la mia offerta ha fatto aumentare il valore in Borsa del titolo di oltre il 15%. Un contributo più rilevante di quello che ha dato l’attuale gestione. Il mercato ha dimostrato che l’azienda, se gestita non dai miei figli, vale di più. Gestita dai miei figli, l’azienda vale 25 centesimi ad azione. La pago al prezzo cui hanno ridotto l’azienda. Perché dovrei pagarla di più? E poi non compro tutto, ma il 30 per cento. Non è questione di soldi, non voglio fare un affare. Le ripeto che dopo il rilancio intendo regalare le azioni a una Fondazione».

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Un giornale può stare in piedi con una Fondazione?

«In Italia non è ancora accaduto. Ma in Inghilterra e in Germania esistono Fondazioni che hanno la proprietà di un giornale. Non propongo un atto di generosità; propongo un atto di responsabilità. Capisco che i miei figli non amino il giornale; smettano però di distruggerlo. Si convincano e convincano gli altri azionisti Cir ad aderire a questo programma, visto che non si sono dimostrati capaci di gestire, non hanno idea di come farlo, e si ostinano a cercare un acquirente che non c’è».

Urbano Cairo ha parlato di «mossa romantica».

«È un’espressione che ho apprezzato. Mi ha fatto piacere».

Con John Elkann ha parlato?

«Sì. L’ho chiamato. Mi ha ringraziato. Era in viaggio, ci risentiremo per discuterne».

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Per il nuovo direttore di Repubblica lei ha avuto parole lusinghiere.

«Le confermo. Sono soddisfatto di Carlo Verdelli».

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Dai giornalisti le sono arrivati segnali?

«Sì. Di grande soddisfazione. Lei sa quanto sia importante l’atmosfera in un’azienda editoriale. Un’azienda editoriale non è fatta di carta e inchiostro; è fatta di persone, idee, passioni. Ecco: ci vuole passione. E ci vuole qualcuno che te la ispiri. Non è un lavoro impiegatizio. Ci vogliono coinvolgimento e condivisione».

(…)