Abbattere il muro del silenzio per vincere la guerra contro le minacce e le intimidazioni nei confronti dei giornalisti. E’ questa la ricetta più potente – rivolta in primis agli stessi giornalisti ed editori – contro chi, attraverso la violenza e le prevaricazioni, tenta di mettere il bavaglio all’informazione, in particolare quella di inchiesta, che strappa i veli dietro a cui si nascondono malaffare e connivenze tra criminalità e centri di potere. Ma anche un appello alle istituzioni, a cominciare dal Parlamento, affinchè recepisca le indicazioni Ue in tema di carcere e reclusione per i giornalisti (la Corte per i diritti umani è contraria, esclusi i casi di istigazione alla violenza e incitamento all’odio) e porti finalmente a termine le iniziative di riforma della legge sulla diffamazione e sulle querele temerarie, il cui esame è fermo alle Camere. Sono queste le sollecitazioni che giungono dal convegno organizzato oggi a Palazzo Madama da Ossigeno per l’informazione “Querele intimidatorie, minacce e intimidazioni” in occasione della Giornata mondiale Onu per lo stop ai crimini contro i giornalisti, che si celebra il 2 novembre.
“Solo con una diversa e maggiore consapevolezza sociale del ruolo dell’informazione e della denuncia si può aggredire l’impunità che caratterizza questo tipo di reati. Ricordiamo che secondo le nostre rilevazioni il tasso di impunità di chi minaccia e reca violenze ai giornalisti è pari al 96,7% nel 2019, in lieve calo rispetto al 99% del periodo 2011-2017 – ha rimarcato Alberto Spampinato, presidente di Ossigeno -. Alcune crepe si sono aperte su quel muro, ma bisogna rafforzare e rendere irreversibile il processo. Per questo ci appelliamo alle forze politiche e sociali: serve un cambiamento nel modo di affrontare il problema. La rete sociale di protezione ha maglie troppo larghe e si è particolarmente indebolita. Bisogna offrire sponde di protezione legale ai giornalisti minacciati che per gran parte sono free lance, privi della copertura dei grandi editori e bisogna, qui mi rivolgo in particolare a giornalisti ed editori, dare visibilità ai minacciati, contestualizzando anche i motivi per cui vengono presi di mira, solo così è possibile aumentare la loro sicurezza”.
A sottolineare come la questione delle intimidazioni ai giornalisti sia una “questione politica e culturale” è stato l’ex presidente del Senato, ora senatore Leu, Pietro Grasso. Lo hanno ben evidenziato le testimonianze di alcuni giornalisti minacciati. “L’impunità scatta perchè la delegittimazione dei giornalisti da parte di certi poteri ci ha reso obiettivi facili” denuncia Paolo Berizzi, inviato di Repubblica sotto scorta per le sue inchieste e i suoi libri sui gruppi nazifascisti in Italia. “Chi ti attacca si sente legittimato a farlo, convinto di godere dell’impunibilità per le proprie intimidazioni” aggiunge. “Lo Stato deve fare di più – continua -. Non può lasciare ad esempio che sia Fb a chiudere le pagine on line di questi gruppi nazionalsocialisti, faccia rispettare la Costituzione e sciolga questi gruppi”. “Ogni notizia occultata è un pezzo di democrazia che muore” ha denunciato Marilù Mastrogiovanni, free lance investigativa sotto protezione da 2 anni, cui la criminalità ha incendiato di notte, mentre dormiva con la sua famiglia, l’abitazione per le inchieste sulle connivenze tra poteri locali e Sacra corona unita, ma anche sul caporalato industriale. “Il giornalismo o è etico o non è. Aiutateci a farlo rimanere tale” ha proseguito. “Negli ultimi 12 anni è sparito il 48% delle testate italiane, questa condizione di debolezza non ci consente di fare neppure un passo indietro: c’è bisogno come il pane di informazione responsabile e fatta con professionalità” rispettando i principi deontologici ma anche etici, ha sollecitato Marco Tarquinio, direttore de L’Avvenire, che ha parlato delle inchieste condotte per il suo giornale da Nello Scavo – ora sotto scorta -, sul trafficante di esseri umani Abd al Rahman al Milad, noto come Bija, presente all’incontro di Mineo, in Sicilia, nel 2017 con le autorità italiane. Molte le testimonianze nel corso del convegno a mettere in evidenza il ruolo sociale e democratico della libera stampa. Ma importanti anche le dichiarazioni delle istituzioni. La presidente del Senato , Maria Elisabetta Casellati, impegnata in Giappone, ha sottolineato in un messaggio l’importanza del giornalismo che “quando è svolto con rigore e con coraggio, costituisce un presidio irrinunciabile della democrazia stessa e un incredibile strumento di tutela della legalità e di lotta al degrado sociale, politico ed economico”. E ha aggiunto: “Le istituzioni hanno il dovere di prestare attenzione nell’interesse di un diritto fondamentale quale è quello di un’informazione libera da ogni forma di condizionamento e di violenza”.
“Se gli Stati hanno davvero a cuore la democrazia e lo Stato di diritto devono diventare più seri nell’attuare gli standard che hanno adottato sulla sicurezza dei giornalisti. Devono trasformare le parole in azioni – ha dichiarato nel suo messaggio la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunija Mijatovic -. Allo stesso tempo i governi hanno il dovere di migliorare la protezione dei giornalisti”. Ciò richiede “modifiche legislative per depenalizzare la diffamazione e per proteggere la libertà dei media”, ma le autorità “devono prendere sul serio tutte le diverse minacce contro i giornalisti incluso le molestie on line delle giornaliste”. Nel suo messaggio il rappresentante Osce per la libertà dei media, Harlem Desir ha ricordato la Decisione del Consiglio ministeriale dell’Osce sulla sicurezza dei giornalisti, adottata nel dicembre del 2018 a Milano, che chiede a tutti gli Stati partecipanti di “prendere misure effettive per metter fine all’impunità dei crimini commessi contro i giornalisti, garantendo che le forze dell’ordine eseguano rapide, efficaci e imparziali indagini sugli atti di violenza e le minacce contro i giornalisti, per assicurare alla giustizia tutti i responsabili. Senza una piena attuazione, non cambierà nulla”. “Dobbiamo sostenere e difendere la libertà di espressione, la libertà di stampa e la libertà di accesso all’informazione. La comunità internazionale, gli Stati membri, la società civile, i media e il pubblico devono continuare la mobilitazione e unire le forze per una risposta più forte” ha concluso il vicedirettore generale Unesco, Maoez Chakchouk.