L’Italia “ha compiuto i passi necessari a promuovere la diffusione del 5G con largo anticipo rispetto alla gran parte degli altri Stati europei, come riconosciuto nel Rapporto Desi 2019” (Digital Economy and Society Index, ndr), dove “il parametro relativo all’aspetto frequenziale del 5G è l’unico in cui l’Italia primeggia”. Così il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), Angelo Marcello Cardani, in audizione in commissione Trasporti alla Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle nuove tecnologie. “Gli operatori nazionali godono di un quadro certo relativo alla disponibilità delle bande di frequenza, nello specifico per il 5G e più in generale dell’intero spettro armonizzato a livello europeo. Ciò appare di non poco conto”, dice Cardani. E il tavolo tecnico al Mise potrà, sottolinea, contribuire “a migliorare ulteriormente le prestazioni delle reti 5G, consentendo all’Italia di posizionarsi tra i primi Paesi al mondo ad aver lanciato servizi 5G commerciali”.

“Ora che gli operatori stanno costruendo le reti 5G si cerca di valutare come i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici vigenti in Italia possano incidere sullo sviluppo della nuova rete. Questi limiti, infatti, risultano essere significativamente più bassi di quelli della maggior parte degli altri paesi, senza una fondata giustificazione scientifica”. Così Cardan, in audizione che spiega, “i limiti che ha l’Italia non hanno un parallelo in altri paesi, derivano da un’eccessiva preoccupazione” e sono oggi “un ceppo al piede per lo sviluppo delle reti”.
Il problema della sicurezza, che nasce dall’interazione con operatori e fornitori di servizi non italiani, la cui affidabilità può essere messa in discussione, è “un problema sostanzialmente insolubile: bisogna solo scegliere se essere spiati, tra virgolette, dai cinesi o dagli americani, questo per quanto riguarda i sistemi che sono assai complessi”. Comunque, ha fatto presente, “i servizi inglesi ritengono di potersi fidare”. E poi, sottolinea, il nostro “paese non ha capacità di fare isola e poggiare solo sulle proprie forze”.
“Se scorporiamo la rete Telecom Italia non è per niente contenta: è un problema politico e sta al Governo e al Parlamento decidere cosa fare, diciamo che il senso della storia dovrebbe dirci di andare avanti”. “L’integrazione con la fibra, l’infrastrutturazione, è un processo in corso e purtroppo inquinato da comportamenti almeno tattici, se non altro. Noi oggi – spiega Cardani – abbiamo una realtà composta da decine di pezzi di rete in fibra appartenenti a varie società e istituzioni. Il ‘backbone’ più sviluppato è quello di Telecom che però strepita dicendo che non cederà mai la sua rete. E in effetti se togliamo dal bilancio di Telecom Italia il valore del backbone ci rimangono solo quattro uffici. Se però non sottraiamo a Telecom Italia il backbone, l’operazione che si sente ventilare, di unificazione di una sola rete, non può essere compiuta”. Certo, continua, “una cosa è se Telecom Italia la cede, altro se la mette nel mucchio pappandosi il backbone di Open Fiber. Lasciando il potere di monopolio in mano a Telecom Italia facciamo un salto indietro agli anni 80”. (ANSA).