Il 2018 è stato un anno di grande crescita per le WebSoft (aziende Web e Software), che hanno registrato un fatturato complessivo di 850 miliardi (pari al 6,4% del giro d’affari totale delle multinazionali mondiali), in crescita del +24,5% sul 2017 e del +109,7% sul 2014. Una corsa straordinaria, specialmente se paragonata a quelle delle multinazionali manifatturiere, che hanno messo a segno ‘solo’ un +13% sul 2014.

E’ quanto emerge dal Focus annuale dedicato alle WebSoft Companies dell’Area Studi di Mediobanca, che ha analizzato i 25 maggiori gruppi del settore, quelli con un fatturato superiore agli 8 miliardi. Il rapporto evidenzia come, in questa cornice estremamente positiva sono soprattutto le aziende cinesi a brillare, grazie a ricavi incrementati del +294% sul 2014, mentre i big americani sono cresciuti del +91%.

Il mercato è sempre più concentrato e il podio resta ancora tutto a stelle e strisce. Nel 2018 i primi tre giganti, Amazon, Alphabet (Google) e Microsoft rappresentano circa la metà dei ricavi aggregati del settore. Amazon (203,4 miliardi) si conferma in prima posizione per fatturato dal 2014, seguita da Alphabet (119,5 miliardi) e Microsoft (96,4 miliardi). Nel 2014-2018 è aumentato il gap tra i primi cinque giganti e gli ultimi cinque: nel 2014 la differenza di fatturato era poco superiore ai 240 miliardi, nel 2018 è più che raddoppiata a oltre 480 miliardi. Nel 2014-2018 la crescita media annua più elevata è appannaggio delle cinesi NetEase (+54,8%) e Alibaba (+49,1%), seguite da Facebook (+45,5%).
Ottima performance anche in termini di redditività: i colossi del WebSoft hanno infatti prodotto utili per 110 miliardi (l’11,7% del totale delle multinazionali mondiali), ciascuno mediamente per circa 15 milioni al giorno rispetto ai 7 milioni nel 2014. Anche in questo caso la crescita non teme paragoni con quella delle multinazionali manifatturiere: +20,3% per le WebSoft e +4,3% per le altre. Se si allarga la prospettiva ai cinque anni, i giganti del settore hanno macinato profitti per 413 miliardi, di cui 82 miliardi Alphabet, 78 Microsoft e 48 Facebook.

La redditività industriale complessiva delle WebSoft rimane elevata, con un ebit margin del 17,3%, seppur in calo di 2,6 p.p. rispetto al 2014. Le multinazionali manifatturiere vantano, al contrario, un ebit margin inferiore (11,7%), ma in aumento (+0,8 p.p.). Ancora inarrivabile Facebook (ebit margin al 44,6%) che guida un podio tutto americano con Booking Holdings (36,8%) e Oracle (35,3%).
Nel 2018 le WebSoft poggiano su una base patrimoniale solida. Le società cinesi risultano più solide di quelle USA (capitale netto tangibile, rispettivamente, 2 e 1 volta i debiti finanziari). Spiccano Facebook e la giapponese Nintendo che non hanno debiti finanziari.
Alla fine dello stesso anno le WebSoft detenevano €507 miliardi di liquidità, pari a oltre un terzo del totale attivo (tre volte di più della media di una multinazionale). Il 22% del totale attivo (€305 miliardi) è investito in titoli a breve termine (circa la metà sono titoli di stato USA), percentuale appena superiore a quella delle maggiori banche europee e americane (21%) e di gran lunga a quella delle multinazionali (3%).
Dal 2014 al 2018 la liquidità è aumentata in media di circa €49 miliardi ogni anno ed è stata utilizzata prevalentemente per acquistare società minori e azioni proprie: nel 2018 i buyback hanno superato di quattro volte quelli del 2014, arrivando a €78 miliardi.
La Borsa è uno dei terreni più fertili per i colossi WebSoft. Anche se prese singolarmente, Microsoft, Amazon e Alphabet valgono più dell’intera Borsa Italiana. A fine 2018 i giganti del WebSoft (tutti quotati ad eccezione del gruppo tedesco Otto, a controllo familiare) concentravano il 21,6% della capitalizzazione delle multinazionali mondiali e valevano oltre otto volte la Borsa italiana e oltre il doppio di quella tedesca, registrando un incremento medio annuo del +19,8% nel 2014-2018 (+3,3% quello delle multinazionali manifatturiere). A metà novembre 2019 i colossi del WebSoft capitalizzavano €5.065 miliardi e il podio di Borsa era così rappresentato: Microsoft-Alphabet-Amazon.
Nel 2018 le WebSoft occupano quasi 2 milioni di persone sparse nel mondo (il 6% della forza lavoro di tutte le multinazionali mondiali), segnando un aumento di +902mila unità sul 2014 (+91,6%, contro il modesto +1% delle multinazionali manifatturiere). La sola Amazon ha determinato oltre la metà di tale incremento.
L’azienda di Bezos è il primo datore di lavoro del settore e ha più che quadruplicato il numero dei propri dipendenti tra il 2014 e il 2018, in parte grazie all’acquisizione di società minori, raggiungendo 647mila unità nel 2018. Al secondo posto una cinese, JD (179mila occupati), e al terzo l’americana Oracle (136mila). La prima europea è al settimo posto: la tedesca Sap (94mila).
In Italia le WebSoft sono presenti tramite controllate, che nel 2018 hanno registrato un fatturato aggregato di oltre 2,4 mld (pari allo 0,3% del totale WebSoft) versando però al fisco solo 64 milioni. Secondo lo studio le WebSoft hanno pagato nello scorso anno sanzioni fiscali per un totale di 39 milioni (dai 73 milioni nel 2017).

Nel dettaglio, Amazon ha pagato tasse per 6,2 milioni, Microsoft 16,6 milioni, Booking 5,1 milioni, Google 4,7 milioni, Oracle 3,2 milioni, Facebook 1,7 milioni e Uber 153 mila euro.
Il settore impiega oltre 9.800 lavoratori (pari allo 0,5% del totale WebSoft); rispetto al 2017 si calcolano 1.770 dipendenti in più, in massima parte assunti dalle società del Gruppo Amazon che vanta il maggior numero di occupati in Italia (4.608).
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REPLICA DI AMAZON
Riceviamo e pubblichiamo questa replica da parte dell’ufficio stampa di Amazon.
“È fondamentalmente errato equiparare tutte le aziende digitali senza tenere in considerazione le differenze dei business in cui operiamo: l’imposta sulle società si basa sui profitti, non sui ricavi, e i nostri profitti sono rimasti bassi sia perché il business consumer retail è un business con margini ridotti sia per i continui, forti investimenti di Amazon in Italia che, dal 2010, ammontano a oltre 1,6 miliardi di euro. Nel caso di Amazon, la nostra aliquota fiscale effettiva globale dal 2010 al 2018 è stata mediamente del 24% e la nostra attività di business consumer è in perdita. E questo rapporto ignora anche il record di investimenti e la continua creazione di posti di lavoro in Italia, che aggiungerà ulteriori 1.000 dipendenti a tempo indeterminato ai 6.500 entro la fine el 2019 – dipendenti che lavorano in 20 sedi diverse con tutti i livelli di esperienza, istruzione e competenze, come, ad esempio, ingegneri, software developer, esperti di logistica o di marketing.
Il Rapporto dell’Area Studi Mediobanca ‘Multinationals: Financial Aggregates’ si basa quindi su una ricerca non corretta sulle società ‘Websoft’ e trae conclusioni errate almeno per quanto riguarda Amazon. Il rapporto non ha preso in considerazione l’impatto di tutte le entità italiane, ma solo 7 delle 11 società con cui Amazon opera in Italia che hanno ricadute in termini di gettito sia a livello locale sia a livello nazionale attraverso IVA, IRPEF, IRES, IRAP, TASI, TARI. Inoltre, Amazon paga tutte le tasse dovute in Italia e in tutti i Paesi in cui operiamo e le tasse pagate in Italia sono più alte rispetto a quelle dichiarate nel rapporto in quanto, da maggio 2015, abbiamo una succursale italiana di Amazon EU Sarl che registra tutti i ricavi, le spese, i profitti e paga le imposte dovute in Italia per le vendite al dettaglio, non in Lussemburgo.”