Caro Direttore, la lettera aperta di un maestro come Pupi Avati, che confessa di vivere questo tempo sospeso ‘con gli occhi chiusi, in attesa di poterli riaprire’, è bella, commovente e profetica: delinea una Italia che risorgerà più forte e più alta di prima se saprà attingere alle risorse più profonde e durature della sua lunga e straordinaria storia: la cultura, l’arte, la spiritualità”. Così il presidente della Rai, Marcello Foa, in una lettera a ‘La Stampa’.

“Non esiste Paese al mondo che abbia dato tanto all’umanità e per periodi lunghissimi. Qualcosa di speciale e di inimitabile caratterizza la storia e l’indole del nostro Paese; è una spinta irresistibile alla creatività, quella che da sempre affascina gli intellettuali stranieri e segna lo stesso Pupi Avati, regista dall’animo sensibile, capace di regalarci film toccanti dall’umanità profonda. Mi associo – sottolinea – senza indugio: sarà il Genio italico, anzi il Mistero del perdurante Genio italico, a salvare ancora una volta il Paese. Ed è comprensibile che lo stesso Avati auspichi una Rai capace di interpretare e di incoraggiare questa risurrezione, e che ci inviti a conquistare sul campo il diritto di essere, come siamo, la prima impresa culturale italiana. Un diritto che impone anche dei doveri”.
“Anche se la Rai – ha evidenziato Foa- fa già tanta cultura alla radio e in televisione (mi permetta, Direttore, di non citare qui tutte le iniziative messe in campo dalle reti e in particolare dal direttore di Rai Cultura, Silvia Calandrelli), sono convinto – sottolinea – che si possa e si debba fare di più. Ma nei modi e nei tempi appropriati”.
“Bisogna strutturare un percorso – rimarca il presidente della Rai – trovare un equilibrio tra le diverse sensibilità culturali. Se si cedesse all’improvvisazione, il risultato non sarebbe quello atteso, forse risulterebbe addirittura antitetico rispetto a una pur lodevole intenzione. Una rete dedicata alla cultura esiste già: è Rai5, anzi ne abbiamo due, c’è anche Rai Storia. E disponiamo di una rete radiofonica nazionale, Radio3. Di una cosa, però, sono convinto. La cultura non può essere circoscritta a reti dedicate, ma deve attraversare tutta la produzione Rai attraverso una sensibilità diffusa e la consapevolezza di fare ‘servizio pubblico’ avendo cura di ogni fascia di età e ceto sociale, di ogni orientamento culturale, di tutte le categorie del lavoro e dell’economia, con un’attenzione speciale verso la popolazione più fragile e più debole. La cultura non può chiudersi in torri d’avorio”.
In particolare, evidenzia Foa, “i maestri del cinema italiano come Pupi Avati, i cultori della canzone italiana come Arbore e, aggiungerei, i giornalisti che hanno saputo divulgare la storia italiana come Montanelli, Cervi e Gervaso, ci hanno insegnato a servire il Paese usando un linguaggio semplice in grado di elevare la conoscenza e le coscienze. Questo è il compito che a mio parere deve concretamente avere oggi la Rai mentre il Paese si ritrova a casa, prigioniero dell’attesa che il pericolo sia passato ma desideroso di mantenere, attraverso i media, il contatto con la realtà e con tutta la comunità nazionale”.
“In questo senso – conclude il presidente della Rai- Cultura è anche raccontare il lavoro di scienziati, medici e ricercatori, così come rilanciare l’aspirazione a una maggiore spiritualità attraverso le immagini di impatto storico del Pontefice che impartisce l’indulgenza plenaria in una Piazza San Pietro deserta e l’ascolto della Messa del Santo Padre da Santa Marta su Rai1 ogni mattina alle 7.Quello che sta emergendo da questa lunga clausura è un bisogno di autenticità e di riscoperta delle nostre radici, dei nostri valori più profondi, di quella straordinaria eccezione nella storia dell’umanità chiamata Italia, e di cui la Rai dovrà essere interprete, specchio e al contempo vettore verso un futuro, davvero e finalmente, di felicità”