La cultura dopo il Covid. Comin&Partners fa il punto con i protagonisti

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Alla vigilia della riapertura, il 15 giugno, di cinema (pochi) e teatri (pochissimi), Comin&Partners prova a fare il punto sulla ‘Cultura per l’uscita dal Covid-19’. In un faccia-a-faccia virtuale, organizzato all’interno dei ThinkTalk100, a confrontarsi sono stati rappresentanti del mondo musicale (Carlo Fuortes, sovrintendente della Fondazione Teatro dell’opera di Roma), museale (Letizia Ragaglia,  ex direttrice del Museion), cinematografico (Maite Bulgari, ceo di Garbo Produzioni).

Maite Bulgari, ceo Garbo Produzioni

Se le considerazioni di partenza accomunano tutti i settori della cultura, privati del rapporto diretto e costretti in questi mesi a trovare soluzioni video per restare in contatto con il pubblico , le conseguenze della pandemia sembrano invece essere molto diverse, da ambito ad ambito. Prendiamo il teatro: l’Opera di Roma in lockdown  ha lavorato sulla formazione a distanza, persino per ciò che riguarda le classi di danza, e adesso – dopo la prima rappresentazione dal vivo nei giardini del Quirinale per la festa della Repubblica – si appresta a ripartire . Con l’aiuto anche di un’operazione di fundraising che ha coinvolto micro e macrofinanziatori da tutto il mondo, e con il supporto della Banca del Fucino con un contributo triennale di 250 mila euro l’anno. Ma non è solo per queste ragioni che Fuortes, forte pure di 150 mila visualizzazioni integrali dei suoi concerti in questo periodo, rivela un cauto ottimismo. Il fatto è che il teatro prevede comunque la presenza fisica degli spettatori e in futuro “non sarà così diverso da com’era prima del Covid”: i tempi ancora non si sanno, ma succederà.

Raffaello, Madonna di Foligno
Raffaello, Madonna di Foligno

Fisica è anche naturalmente la presenza del pubblico dei musei, che in alcuni casi – prima fra tutti la grande celebrazione di Raffaello alle Scuderie del Quirinale, riaperta il 2 giugno e protratta fino al 30 agosto – ha subito fatto registrare il pienone di prenotazioni. Certo, i costi degli allestimenti, spiega Mario De Simoni, presidente di Ales (società in house del Mibact), non potranno reggere una frequentazione di pubblico che le norme di sicurezza impongono di contingentare, mentre dall’altra parte è impensabile aumentare il costo dei biglietti in modo stratosferico. Quindi, nel futuro prossimo si ipotizza che più sulle grandi mostre, con prestiti e assicurazioni troppo onerosi, tanto che che per rifinanziarsi dovrebbero avere almeno 200 mila visitatori, i musei faranno leva sulla valorizzazione delle collezioni permanenti.

Se però come dice Patrizia Asproni, presidente di Confcultura, qui “non si parla di mutamenti, ma di mutazioni genetiche”, queste riguarderanno più di tutti il cinema. Mentre per ciò che riguarda concerti, mostre e spettacoli la tecnologia ha una funzione di supporto, sostitutiva dell’incontro dal vivo solo in condizioni estreme come il lockdown, con l’audiovisivo funziona diversamente: può diventare l’alternativa al consumo in sala.  E adesso che le piattaforme hanno dimostrato come può essere ricca l’offerta, sarà molto difficile tornare indietro, osserva Maite Bulgari. Dal punto di vista dei contenuti, tutti i progetti nati negli ultimi mesi per raccontare le esperienze di pandemia, ipotizza Las ceo di Garbo, difficilmente avranno successo, perché la gente “non avrà voglia di tornare a vedere storie di persone con le mascherine”.

Dal punto di vista della produzione, il costo del set – quantifica Bulgari – prevede aumenti del 30-40% a causa delle difficoltà relative alle norme di sicurezza (con la grande incognita delle assicurazioni, che non intendono coprire i rischi) e a fronte di un box office inevitabilmente ridotto causa i distanziamenti. Ma è nella fruizione il vero nodo: perché gli spettatori devono tornare in sala anziché restare in salotto? Per il momento, non c’è una risposta strutturale. Si può lavorare nella prospettiva dell’evento, del grande film che crei il bisogno di andare a vederselo al cinema. Ma non è sufficiente.