Il lavoro a distanza ha coinvolto quasi un quarto delle imprese italiane durante l’emergenza sanitaria: il 90% delle grandi imprese (250 addetti e oltre) e il 73,1% delle imprese di dimensione media (50-249 addetti) hanno introdotto o esteso durante l’emergenza Covid lo smart working. La percentuale scende al 18,3% nelle microimprese (3-9 addetti) e al 37,2% nelle piccole (10-49 addetti). Lo rende noto l’Istat nel Rapporto su situazione e prospettive delle imprese.
Nei mesi immediatamente precedenti la crisi (gennaio e febbraio 2020) – spiega l’Istat – escludendo le imprese prive di lavori che possono essere svolti fuori dai locali aziendali, solo l’1,2% del personale era impiegato in lavoro a distanza. Tra marzo e aprile questa quota sale improvvisamente all’8,8%. L’incidenza di personale impiegato in modalità agile arriva al 21,6% nelle imprese di medie dimensioni dal 2,2% di gennaio/febbraio mentre nelle grandi dal 4,4% dei primi due mesi dell’anno accelera fino al 31,4%. I settori più coinvolti sono i servizi di informazione e comunicazione (da 5,0% a 48,8%), le attività professionali, scientifiche e tecniche (da 4,1% a 36,7%), l’istruzione (da 3,1% a 33,0%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (da 3,3% a 29,6%).
Anche dopo la fine del lockdown (maggio-giugno 2020), la quota di lavoratori impiegati a distanza pur in declino resta significativa (5,3%), soprattutto nelle grandi e medie imprese (25,1% e 16,2%).
“Tali risultati – sottolinea l’Istat – suggeriscono che grazie all’implementazione di soluzioni informatiche e organizzative una fetta di imprese italiane è riuscita nel giro di poche settimane a estendere forme lavorative in precedenza limitate a una piccola minoranza a quote considerevoli di personale”.