Avvelenato Aleksei Navaln, avvocato e giornalista critico nei confronti del Cremlino

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L’oppositore russo Aleksei Navalny sarebbe stato avvelenato con “ossibutirrato di sodio, un potente psicodislettico”. E’ la “diagnosi preliminare” sullo stato di salute dell’uomo, 44 anni, ricoverato in ospedale a Omsk, secondo quanto riporta il canale Telegram Life Shot, citando una fonte anonima e rilanciato da diversi media russi come Kommersant. L’ossibutirrato di sodio, spiega il sito di informazione Baza, “è incolore e inodore e potrebbe essere facilmente aggiunto al tè”.
Su Twitter, i sostenitori di Navalny invitano alla cautela sulle prime ricostruzioni dell’accaduto e avvertono che “ora si diffonderanno 100 versioni diverse” sul sospetto avvelenamento dell’uomo.

Aleksei Navaln

Chi è Aleksey  Navalny nella scheda di Agi.
Aleksey Navalny, l’avvocato 44enne diventato in meno di 10 anni il critico più in vista del Cremlino di Vladimir Putin, non è solo un oppositore politico ma anche uno dei più importanti giornalisti d’inchiesta. In questa veste, con la sua Fondazione anti-corruzione, Navalny e il suo team da anni denunciano la corruzione e il clientelismo che dilaga dalle amministrazioni locali fino alle più alte sfere dello Stato. Sul popolare canale YouTube dove l’oppositore e i suoi collaboratori pubblicano le loro inchieste i loro video – confezionati per arrivare in modo efficace fino al più semplice cittadino – sono diventati un vero e proprio genere in Russia, visti da milioni di persone.
Per questo, Navalny si è fatto molti nemici in diversi settori: dalle imprese di Stato, ai governi regionali, passando per le forze dell’ordine, fino al Parlamento e al governo. Il Fondo anticorruzione segue il denaro, lo traccia, getta luce sulle ricchezze non dichiarate o accumulate in modo sospetto e spiega come la corruzione proliferi nel sistema creato da Putin in 20 anni di potere.
Proprio una maxi inchiesta sull’allora premier Dmitri Medvedev – partita dalla foto di un paio di scarpe sportive e arrivata a svelare un impero immobiliare attraverso una rete corrotta di fondazioni benefiche – aveva fatto scattare, tre anni fa, le più partecipate proteste di piazza a Mosca dal 2012, dilagate anche nelle province.

Navalny – che non aveva esitato a definire Medvedev “tra gli uomini più ricchi e corrotti del Paese” – era stato arrestato durante una manifestazione non autorizzata nella capitale e con lui centinaia di persone. Per l’oppositore si tratta solo di routine. Non si contano più ormai gli arresti e i processi a suo carico, arrivati a coinvolgere anche il fratello Oleg, rilasciato nel 2018 dopo aver scontato tre anni e mezzo di detenzione con l’accusa di frode nei confronti di una società di cosmetici.
Nato nel 1976, sposato e con due figli – Daria (che studia negli Usa) e Zakhar – Navalny emerge nel 2008 come blogger anti-corruzione e con posizioni apertamente nazionaliste. Diventa il volto di un’opposizione in cerca di unità e di un leader quando, a fine 2011, si mette alla guida del vasto movimento di piazza che contesta i risultati delle parlamentari, vinte dal partito putiniano Russia Unita tra accuse di brogli, e poi l’anno successivo il ritorno di Putin al Cremlino. La cosiddetta ‘rivoluzione della neve’ viene repressa dalle autorità tra arresti e processi, ma Navalny decide di puntare più in alto. Da semplice attivista diventa un vero e proprio oppositore politico.
Fonda il partito Russia del Futuro che non ottiene la registrazione ufficiale e collabora con l’ex vice premier Boris Nemtsov, assassinato nel 2015. Nel 2013 si candida a sindaco di Mosca: con un’inedita campagna elettorale fatta sui social e nei cortili dei condomini, dà filo da torcere al cavallo su cui punta Russia Unita – Serghei Sobyanin, attuale primo cittadino della capitale – rischiando di portarlo al ballottaggio.
Intenzionato a sfidare Putin nelle presidenziali del 2018, la sua candidatura viene respinta dalla Commissione elettorale centrale per via della condanna a cinque anni (con sospensione della pena) comminatagli per appropriazione indebita in un processo che i suoi sostenitori sono convinti sia stato messo in piedi per ostacolarne l’attività politica. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia per i ripetuti arresti di Navalny, effettuati – secondo il tribunale di Strasburgo – col fine di “sopprimere quel pluralismo politico che fa parte di un’effettiva democrazia governata dallo stato di diritto”.
Il mese scorso, l’oppositore ha annunciato di dover chiudere la Fondazione anti-corruzione, impossibilitata a sopravvivere alla maxi multa del corrispettivo di un milione di euro. Aveva però promesso di tornare con una nuova organizzazione per continuare il lavoro.