Il decalogo sul femminicidio infiamma Repubblica

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Tutti i giornalisti di Repubblica hanno ricevuto il decalogo che pubblichiamo qui sotto intitolato ‘Come raccontare un femminicidio’: sette punti divisi in due colonne, da una parte il Sì e dall’altra il No, con dettagliati esempi di parole ed espressioni da usare o non usare nei titoli e nei pezzi.

No
Non mettere nel titolo parole che evocano la fatalità Racconta l’omicidio come un atto volontario e deliberato
Tragedia, dramma, tragico evento Omicidio, assassinio, femminicidio
Nel titolo non definire l’omicida con particolari che non riguardano l’omicidio (metterli nel pezzo) Concentrare l’attenzione sull’azione omicida
Operaio/disabile/calabrese/disoccupato/immigrato uccide la moglie Uccide, spara, trucida, accoltella, impicca, brucia
Non associare l’omicidio all’amore o alla famiglia L’amore non ammazza, la famiglia non ammazza
Amore malato/criminale/violento/assassino Omicidio, assassinio, femminicidio
Dramma famigliare o della gelosia Omicidio
Tragedia coniugale Assassinio
Delitto passionale Femminicidio
Non definire omicida e vittima con i ruoli che avevano già perso Utilizzare termini non relazionali
Se lei lo aveva lasciato, non era più la sua fidanzata, compagna o moglie L’uomo, la donna, l’ex, i loro nomi
Non far sembrare l’omicidio una conseguenza delle scelte della vittima L’omicidio è una decisione del carnefice
La separazione il movente dell’omicidio Non voleva lasciarla libera e l’ha uccisa
Voleva lasciarlo, lui la uccide a coltellate Uccisa a coltellate dall’ex marito possessivo
Lo tradiva, lui le ha sparato O mia o di nessuno” e l’accoltella 17 volte
Non patologizzare il movente La malattia non è un movente né un alibi
Follia a Macerata, uccide la moglie che voleva lasciarlo L’ha uccisa
Raptus omicida a Sondrio, spara all’ex compagna L’ha uccisa
Depresso, uccide compagna e figlio L’ha uccisa
Anziano uccide la moglie disabile L’ha uccisa
Delirio omicida a Poggibonsi, stermina moglie e figli Li ha sterminati
Non empatizzare con l’omicida ma con la vittima Assumere il punto di vista della vittima
Fidanzatino Si sentiva finalmente libera
Gigante buono/mite/introverso/discreto Si stava ricostruendo la vita
Insospettabile Si sentiva oppressa dal suo controllo
Aveva perso da poco il lavoro Le spiava il cellulare e l’email
Soffocato dai debiti Aveva confidato alle amiche di avere paura per la sua vita
Non sopportava l’idea di perderla Aveva tentato più volte di lasciarlo
Disperato/disperazione/in lacrime/distrutto Soffriva per la gelosia ossessiva di lui
Temeva di perdere figli, lavoro, casa Aveva paura che potesse fare del male ai bambini
Non romanticizzare l’omicidio Assumere il punto di vista della vittima
Le si è disteso accanto in un estremo gesto d’amore malato Il cadavere della donna come una bambola finalmente ai suoi comandi
Dieci anni felici, poi la tragedia Una relazione durata anni
Sembrava un amore perfetto, poi… La facciata apparentemente perfetta nascondeva un’altra realtà
Uniti nella morte per sempre Neanche in morte l’ha lasciata libera

E questo cos’è? Si sono chiesti in redazione, a cominciare dalle principali firme del quotidiano, subissando il Cdr di richieste di spiegazioni. Il decalogo è stato stilato dal team social coadiuvato su questi temi da Michela Murgia, è stata la risposta. Apriti cielo. Il tema è importante, delicato, qualche scivolata in un linguaggio non appropriato può esserci stata, ma proprio a noi, i giornalisti del quotidiano più politicamente corretto, una figura esterna vuole insegnare il mestiere senza che vi sia stata una discussione interna? E poi, se accettiamo questo precedente, quanti altri decaloghi potrebbero arrivare su altri temi?
La bolla probabilmente si sgonfierà in fretta. Resta il fatto che, se alcuni punti del decalogo sono sacrosanti e persino ovvi, e che un femminicidio va sempre riconosciuto e raccontato come tale, l’idea di semplificare con esempi di linguaggio corretto la dolorosa complessità di alcuni di questi casi è una brutta scorciatoia che non porta lontano su una strada ancora lunga da percorrere. Soprattutto non aiuta a creare in chi fa informazione la reale consapevolezza di quanto i condizionamenti maschilisti e sociali possano sporcare le cronache con parole che feriscono o negano l’identità e i diritti di una persona, tanto che si parli di femminicidi quanto di vicende che riguardano appartenenti alla comunità Lgbt+, disabili, immigrati e ogni altro essere umano che con brutta espressione usiamo definire ‘soggetto debole’.