Si svuotano cinema e teatri, ma crescono i musei. Federculture: in 20 anni 1 miliardo in meno di risorse pubbliche

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Dopo un decennio di crescita, negli ultimi dieci anni diminuisce la partecipazione culturale degli italiani, soprattutto per cinema, teatro, lettura. Fanno eccezione i musei, superstar dell’ultimo decennio. A raccontarlo, il sedicesimo Rapporto Annuale Federculture Impresa Cultura, ‘Dal tempo della cura a quello del rilancio’.
Nel dettaglio, dal report emerge che il cinema, in crescita del 12,1% fino al 2010, nel periodo seguente ha perso il 6,1% di fruitori. Non meglio il teatro, che tra 2010 e 2019 ha visto un calo dell’8,8%, e negli anni precedenti era cresciuto del 27,3%. Nello stesso periodo diminuiti anche i fruitori di concerti di musica classica e leggera, rispettivamente del 4,9% e del 4,7%, mentre crescevano del 22,5% e del 19,6% nel decennio precedente.
Al contrario, i cittadini che visitano musei sono cresciuti del 21,5% in venti anni e del 7% dal 2010, così come quelli che frequentano siti archeologici e monumenti segnano un +36,8% tra 2001 e 2019, con un +19,7% negli ultimi dieci anni.

Coda, a Firenze, per la riapertura degli Uffizi (Foto ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI)

Sempre secondo i dati, negli ultimi 20 anni le risorse pubbliche per il settore culturale si sono ridotte di un miliardo. I tagli riguardano principalmente le amministrazioni territoriali – Regioni, Province e Comuni – mentre ha tenuto la spesa statale. Se nel 2000, infatti, complessivamente la spesa pubblica, statale e locale, per la cultura era pari a 6,7 miliardi di euro, nel 2018 (anno di confronto per disponibilità di dati) era scesa a 5,7 miliardi. Ovvero un miliardo in meno, perso principalmente per il calo delle risorse di Comuni (-750 milioni, -27%), Regioni (-300 milioni, -23%), e Province (-220 milioni, -82%).
Nel periodo, dopo una diminuzione nel primo decennio, è cresciuto invece lo stanziamento del Mibact con un +48% dal 2010 al 2018.
Una bassa spesa pubblica, dunque, che pone l’Italia in fondo alle classifiche europee, dove la media Ue dell’incidenza della spesa in cultura sulla spesa pubblica totale è del 2,5%, mentre noi siamo fermi all’1,6%.
Venendo ai giorni del Covid, si spiega nell’analisi, duro il colpo inferto dalla pandemia alle aziende culturali: il 70% stima perdite del 40% del proprio bilancio; per il 13% perdite superiori al 60%.
In uno scenario inedito, rimarca poi la ricerca, in molti nel comparto hanno reagito veicolando la propria offerta tradizionale in forme del tutto nuove, anche lavorando in modalità nuove (in smart working per l’85% degli enti). La totalità degli attori culturali, 80-100% a seconda dei settori, ha implementato i propri servizi a distanza. Nell’ambito museale, la produzione di visite virtuali, di dirette live o di programmi ad hoc, accessibili on demand, è andata ovunque ben oltre il 50% delle complessive proposte culturali fruibili a distanza.
Il 96% di chi attivato servizi online hanno manifestato l’intenzione di mantenerli nel proprio palinsesto anche dopo il superamento della crisi e l’auspicato ritorno alla normalità. Ma proprio riguardo le aspettative sull’uscita dalla crisi – si legge ancora nel Rapporto – solo il 22% immagina un ritorno alla normalità, mentre il 50% prospetta una riduzione e ridefinizione delle proprie attività, e ben il 73% teme una riduzione di fondi.