“Si dovrebbero muovere i governi e addirittura le Nazioni Unite, ove mai ne fossero capaci: occorre intervenire, non basta più solo denunciare questa ricaduta sociale e psicologica degli strumenti tecnologici di comunicazione, che specie negli individui più giovani, come nel caso della bambina di Palermo ancora in età prepuberale, fanno venir meno la distinzione precisa fra realtà reale e virtuale, fra rischio e simulazione, inducendo ad agire senza pensare”. E l’allarme che lancia all’AdnKronos il decano dei sociologi italiani Franco Ferrarotti.

“Specie nelle sfide fra coetanei come il ‘blackout challenge’ che presuppone una sfida a chi resiste per più tempo, si cancella la linea che separa la vita dalla morte – avverte il sociologo – Il torrente di comunicazioni che oggi investe i giovani, l’abbondanza degli stimoli digitali, sono tutti fattori di deconcentrazione che tolgono senso ai rapporti reali e alla percezione della realtà: è pericolosissimo, non solo dal punto di vista della mancanza di concentrazione ma anche di riflessione, di senso critico”.
Internet “è una macchina meravigliosa ma al tempo stesso stupida e non tutti i ‘piloti’ di questa macchina, specie se adolescenti, sono consapevoli dei suoi effetti, psicologici e sociali, che possono essere anche molto negativi e dannosi. Purtroppo – lamenta Ferrarotti – oramai si vive nell’immediato, nel ‘hic et nunc’ ovvero ‘qui e ora’, senza interesse per il passato, incapaci di capire il presente e di progettare il futuro. Questi mezzi creano uno stato generale di emotività, per cui l’emozione vince sempre sul ragionamento”.
“Attenzione – avverte il sociologo Franco Ferrarotti – non stiamo facendo filosofia spicciola: qui si tratta di agire prima di pensare, il che è sempre molto pericoloso, per se stessi e per gli altri. Da qui nasce il rischio, psicologico e anche sociale. Le famiglie, specie se i genitori sono di un paio di generazioni fa, non riescono a comprendere appieno la pericolosità di questi nuovi mezzi di comunicazione, perché non li conoscono fino in fondo come i loro figli anche giovanissimi, che invece ne sottovalutano i rischi di dipendenza”.
Così, “prevale il concetto che i videogiochi siano utili per tenere buoni i bambini, come una volta si faceva piazzandoli davanti alla televisione… E non ci si rende conto delle conseguenze, ignorate dai genitori e sottovalutate dai figli, cui tanti minori vanno incontro. Nulla in via di principio contro la tecnica e ai suoi progressi, ovviamente; ma non si può rinunciare a intervenire sui danni che provoca”, riflette Ferrarotti.
“Del resto, i potentati industriali economici e finanziari che producono questi mezzi elettronici e digitali sono poche multinazionali con bilanci spesso superiori a quelli di uno Stato e con un potere superiore a quello dei singoli governi. Abbiamo affidato e riconosciuto all’innovazione tecnologica il valore-guida della società, lasciandola libera anziché governarla: un principio che costituisce un errore madornale, tremendo, di cui paghiamo ora tutte le conseguenze psicologiche e sociali”, conclude il sociologo.
La psicoterapeuta e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Maura Manca ha parlato del gioco estremo su TikTok, che sarebbe stato fatale per una bambina di 10 anni di Palermo.
“Le challenge sono delle sfide che si lanciano in rete e che attirano soprattutto i più piccoli. Spesso vengono inviate attraverso le chat o viste nelle piattaforme online. Sono ormai presenti da anni in rete e ciclicamente si rigenerano. Di ‘blackout challenge’ per esempio se ne parlava già nel 2012”.
Non dunque una novità, anche se oggi questo tipo di prove si sono spostate maggiormente su TikTok, “perché è la piattaforma più scaricata al mondo, qualche anno fa erano su YouTube”, ricorda la psicologa. Attenzione, “non vanno sottovalutate neanche le chat di messaggistica come Whatsapp attraverso le quali i bambini si mandano tantissimi contenuti non idonei per i minori”, aggiunge.
“Purtroppo all’interno di queste piattaforme, soprattutto su TikTok, navigano troppi bambini che possono entrare in contatto anche con contenuti che non sono in grado di filtrare e di valutare in maniera critica. Il fatto che sappiano usare uno smartphone non significa che abbiano la consapevolezza di quello che stanno facendo – sottolinea Manca – Non hanno ancora sviluppato la capacità di discernimento, non hanno un senso del limite e rischiano di imitare qualcosa e di non essere in grado di percepirne la reale pericolosità o di capire quando non ci si deve spingere oltre. Per questo non devono accedere ai social network da soli, nonostante poi il limite di età sia 13 anni. Per loro è divertente, fanno parte di una comunità e quando ci si diverte si abbassa il livello di percezione del pericolo”.
I genitori, da parte loro, devono stare quindi al passo, “non sottovalutare i potenziali rischi”. Se non conoscono tali sfide in rete, “difficile intervenire prima”, ragiona la psicologa. “Pensano erroneamente, e anche ingenuamente, che al proprio figlio non possano accadere cose così terribili. Mai abbassare la guardia, bisogna essere sempre informati sulle mode del momento – esorta Manca – Oggi i bambini sono bombardati e il rischio potenziale è molto alto. Per questo motivo vanno educati fin da bambini con dei limiti importanti nella navigazione, un monitoraggio continuo delle loro azioni e un’analisi dei contenuti, per portarli a sviluppare una consapevolezza digitale”. Quanto ai social, l’esperta osserva che “per una piattaforma online è impossibile riuscire a bloccare tutti i contenuti potenzialmente pericolosi, per quanto soprattutto TikTok sia attentissimo soprattutto ai minori”.