Serra stigmatizza il “radical chic” di Zingaretti alla De Gregorio: usato dai leghisti che hanno uno dei linguaggi politici più poveri dai tempi di Odoacre

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‘Zingaretti e i radical chic’, di Michele Serra – La Repubblica, 02/02/2021.  Il segretario del Pd, per il suo stesso ruolo, è un riferimento importante per la parte (non piccola) di italiani che si sente di sinistra. Dunque anche per molti dei lettori di questo giornale. 

Michele Serra (foto Europaquotidiano)
Michele Serra (foto Europaquotidiano)

Il segretario del Pd, per il suo stesso ruolo, è un riferimento importante per la parte (non piccola) di italiani che si sente di sinistra. Dunque anche per molti dei lettori di questo giornale. Proprio per questo mi ha molto colpito, nell’irritato post su Facebook contro Concita De Gregorio e il suo articolo su Repubblica, che Nicola Zingaretti abbia usato il termine “radical chic”.
Quel termine non aveva alcuna attinenza con l’articolo di De Gregorio (tra l’altro molto più severo con Renzi che con l’attuale reggenza del Pd) e nemmeno con la sua autrice, che lavora da una vita nell’ambito, un tempo molto pop, oggi comunque legato al senso comune del Paese, del giornalismo quotidiano. È stata direttrice dell’ Unità, non di Ville&Casali.

Ma soprattutto quel termine, che nel breve testo di Zingaretti suona come il vero capo d’imputazione, è schiettamente di destra. Da molti anni è largamente e impropriamente usato dalla destra – politici e giornalisti – per bollare di snobismo, di irrealismo, di classismo malcelato, chiunque abbia da obiettare qualcosa alla demagogia populista, sia esso un professore di liceo che difende la consecutio temporum o una comandante di nave che soccorre i migranti o un elettore urbano che vota secondo urbanità. Qualunque buona causa, secondo questa lettura rozza (e falsificante), è solo il vezzo ipocrita di persone viziate e annoiate. Anche una cosa un tempo considerata iper-popolare come la democrazia, secondo gli assalitori di Capitol Hill, è un inganno dell’establishment. È radical chic.Inventato mezzo secolo fa in un contesto molto specifico (la Manhattan degli artisti che flirtava, per moda, con l’estremismo delle Pantere Nere) dallo scrittore dandy Tom Wolfe (che era molto più snob dei suoi bersagli: ma questo è un altro discorso), il termine è diventato poi uno dei più abusati luoghi comuni, la classica arma spuntata, un blabla in mezzo a tanti. Non per caso lo usano a raffica i leghisti, che adoperano uno dei linguaggi politici più poveri dai tempi di Odoacre. È un poco come quando la sinistra, nei tempi ormai molto remoti della sua egemonia culturale, amava dare del “qualunquista” o del “fascista” a chiunque non appartenesse al proprio giro.


Nel momento in cui anche il capo della sinistra italiana bolla di radical chic una giornalista anch’essa di sinistra, viene dunque da chiedersi: ma dove sono finite le parole “di sinistra”? La celebre invocazione di Nanni Moretti (D’Alema, di’ qualcosa di sinistra!) è del 1998. Sono passati più di vent’anni: è una generazione. Molte delle parole vecchie, si sa, sono state ingoiate dalla storia, che le ha ruminate fino a farle sparire. Padroni e proletariato, per esempio, hanno un suono otto-novecentesco che le rende quasi impronunciabili, e anche se il loro oggetto (il dominio del capitale sulle persone) è palesemente ancora in essere, non le si usa più per le stesse ragioni per le quali non si portano più le ghette, o non si arano più i campi con i buoi. Il tempo passa e ci rimette in riga, come è normale che sia.
Sono le parole nuove che evidentemente difettano, a sinistra, tanto che il linguaggio della destra ha un visibile, anzi udibile sopravvento nel discorso pubblico.
La sconfitta culturale della sinistra è perfettamente leggibile in questa lenta, inesorabile sottomissione, che sia ben chiaro non riguarda solo il Pd e il suo segretario, riguarda il grande corpo della sinistra nel suo complesso, compresi giornali e giornalisti.
E dire che di lavoro da fare ce ne sarebbe molto, anche se risalendo la corrente come i salmoni. Cominciando con una generale restituzione di senso alle parole, a ciascuna parola: operazione che, mi rendo conto, renderebbe quasi impossibile il lavoro dei vari staff social, nonché dei digitatori in proprio, perché la velocità compulsiva è nemica delle parole. (Se qualcuno avesse avuto il tempo di rileggere quel post di Zingaretti, magari lo stesso Zingaretti, avrebbe avuto il tempo di pensare: radical chic lo dicono Salvini, Feltri e Belpietro, dunque è meglio cercare un’altra parola).
Eppure si può fare. Coraggio, si può fare. Per finire con una nota di ottimismo, un solo esempio: quando il Pd oppone allo slogan “dalla parte degli italiani” lo slogan “dalla parte delle persone”, fa e dice una cosa di sinistra.
Basta una parola per cambiare significato a una intera politica. E non è che non lo si nota: lo si nota. Non è che non lo si capisce: lo si capisce. E ci si sente meglio rappresentati. Ci si sente un poco meno soli, che in questo momento è davvero una cosa di sinistra.