Sopravvissuta a una tempesta di commenti feroci, ma fortemente voluta dal ministro del Mibact del governo Conte, Dario Franceschini, la piattaforma che distribuirà e commercializzerà in Italia e nel mondo il prodotto della cultura, dello spettacolo e dell’arte tricolori, è adesso sulla rampa di lancio.
Si chiama ITsArt (crasi per ‘Italy is Art’), ha un logo nei colori della bandiera, e si potrà a breve, forse entro il primo trimestre dell’anno, scaricare su smart tv e browser mobile (e progressivamente su tutti i dispositivi). Almeno questo è l’obiettivo di Cassa depositi e prestiti e di Chili spa, che stanno incubando l’operazione. Sono in corso incontri con i rappresentanti di teatri, musei, istituzioni culturali e musicali per spiegare il progetto e cominciare ad assemblare un cartellone consistente di prodotti per partire.

Sembrava quasi un colpo a effetto l’annuncio di Franceschini di voler organizzare la ‘Netflix della cultura’, quando il primo lockdown aveva serrato le sale da spettacolo in tutta Italia, nonché i musei, le mostre e tutti i luoghi del consumo culturale, mettendo a serio rischio la sostenibilità del sistema della produzione. L’idea del ministro invece prende forma dopo che, nell’aprile 2020, il decreto Rilancio dà il via libera al finanziamento di 10 milioni di euro chiesti dal Mibact, per il progetto della piattaforma pubblica della cultura, avvalendosi della collaborazione di Cassa depositi e prestiti. Per dare solidità industriale al progetto, Franceschini, d’accordo con l’ad della Cassa, Fabrizio Palermo, decide che a gestire la piattaforma sarà una newco di cui Cdp controlla il 51%, affiancata da un operatore privato con competenze tecnologiche specifiche al 49%. Viene indetta una gara aperta ad aziende di broadcasting e media di una certa dimensione (non su inviti come è stato scritto), a maggio Cdp inizia il giro di contatti, un percorso lungo perché i concorrenti hanno dovuto presentare una proposta completa di piano industriale per la nascente piattaforma e la tecnologia che avrebbero messo a disposizione, oltre a garanzie manageriali ed economiche. Alla fine la scelta cade su Chili spa, la principale piattaforma italiana dedicata al noleggio e all’acquisto di film in formato digitale, con 5 milioni di clienti e 45 milioni di fatturato, fondata nel 2012 da Giorgio Tacchia, attuale amministratore delegato, e da Stefano Parisi, che ha lasciato l’azienda per entrare in politica mantenendo le azioni, e in cui hanno creduto oltre a Negentropy di Ferruccio Ferrara (65%), la famiglia Lavazza (20%) e gli Studios americani (2%). Sulla scelta di Chili si sono scatenate elucubrazioni giornalistiche, che hanno tirato in ballo otto anni di bilanci in rosso e adombrato il sospetto di un salvataggio pubblico. Ma Chili che chiude il 2020 con il primo utile netto, è entrata a far parte, il 24 dicembre, della newco ITsArt spa con il 49% mettendo sul piatto la piattaforma tecnologica valutata 6 milioni pagati in azioni e 3 milioni cash, mentre l’apporto di Cdp è stato di 9 milioni e mezzo, oltre i 10 milioni del decreto Cura Italia, messi a fondo perduto nella newco.

A oggi è ancora in incubazione il cda e si sta dando forma alla newco, ma è iniziato il conto alla rovescia per il lancio di ITsArt, di cui è stato detto di tutto e di più, ma di cui ancora non si sa molto. L’asset che ha permesso a Chili di entrare in gioco è la piattaforma, basata su un modello transazionale per cui si comprano o noleggiano serie e film à la carte, ma anche i biglietti del cinema e il merchandising.
Con queste premesse chiamare la nascente piattaforma la ‘Netflix della cultura’, seppur comunicativamente efficace, può essere fuorviante perché Netflix è basata sull’abbonamento. Il modello di ITsArt è invece quello di Chili, ovvero “una piattaforma di distribuzione aperta”, spiega chi sta lavorando al lancio, “senza abbonamento, ma con la registrazione gratuita degli utenti. Si possono acquistare i singoli eventi e ci potranno essere anche offerte gratuite. Non sono esclusi, in futuro, contenuti in abbonamento. Il modello di riferimento è quello transazionale: si potranno comprare uno spettacolo del Piccolo, un’opera del San Carlo, un concerto di Baglioni”. E poi il filone arti visive con il racconto seriale del patrimonio artistico (musei, collezioni d’arte, scavi, mostre) e le visite.
ITsArt non prevede di acquistare e produrre i contenuti, ma sono teatri, enti lirici, musei a decidere quali contenuti caricare sulla piattaforma, che “mette a disposizione degli artisti a titolo gratuito un canale distributivo nuovo che ha costi importanti di manutenzione e marketing”. Inoltre come distributori, spiegano a ITsArt, “faremo anche la commercializzazione, il marketing e la promozione del canale puntando ad arrivare rapidamente a qualche milione di iscritti a titolo gratuito, a cui mandare newsletter e informazioni. Ci sarà il database dei clienti, useremo il sistema delle raccomandazioni e incentiveremo il multi language, i sottotitoli e il linguaggio dei segni”.
Ma come guadagneranno gli artisti? Il modello è quello del revenue sharing, lo stesso di Spotify e di iTunes “ma lo sbilanciamento sarà a favore di chi ci dà il contenuto, cui prevediamo di restituire dal 50% al 90% del prezzo di vendita del biglietto in relazione all’attrattività. Percentuali che pensiamo di poter soddisfare sia perché non dobbiamo sostenere i costi di impianti della tecnologia sia perché abbiamo l’ambizione di raggiungere un pubblico più vasto possibile andando subito anche all’estero”.
ITsArt parte in Italia, non ci sarà una un evento di lancio e non avrà un’offerta ciclopica iniziale, ma settimanalmente sarà incrementata. Secondo i piani, subito dopo il debutto ITsArt sbarcherà in Inghilterra, Paese primo in Europa per l’utilizzo di streaming, quindi negli altri Paesi Ue, per poi andare nel mondo.
LA PAGINA DEDICATA A ITSART NEL NUMERO DI ‘PRIMA’ DI FEBBRAIO 2021