L’inclusione premia le aziende. E una ricerca di Diversity testimonia la crescita, anche in epoca Covid

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Una ricerca che misura la capacità dei brand di sviluppare una cultura dell’inclusione, mostrando come questa capacità sia ‘redditizia’. E un premio alla vocazione delle aziende verso la ‘diversity’.

Il Diversity Brand Index 2021 è un progetto curato dall’organizzazione no profit Diversity e da Focus MGMT e coinvolge 7 diverse aree di ‘diversità’: identità di genere, etnia, orientamento sessuale e affettivo, età, status socio-economico, (dis)abilità e credo religioso. Oggi pomeriggio alle 16.30, in diretta streaming su www.diversitybrandsummit.it, sarà presentata la ricerca e si svolgerà anche la premiazione ‘Diversity Factor: born to build trust’ , destinata alle imprese più inclusive.

Finaliste sono 20 aziende: Amazon, Carrefour, Coca-Cola, Durex, Esselunga, Freeda, Google, H&M, Ikea, Intesa Sanpaolo, L’Oréal, Leroy Merlin, Mattel, MySecretCase, Netflix, Pantene, Rai, Spotify, Starbucks, TIM, Vodafone. Fra loro, sarà scelto un vincitore assoluto e il brand che più di tutti ha saputo utilizzare la leva digitale per creare una cultura di inclusione.

Al di là dei riconoscimenti, significativi sono però soprattutto i dati della ricerca che sottolineano l’importanza delle politiche continuative di D&I (diversità & inclusività) e l’impatto economico che possono avere: i brand percepiti come non inclusivi registrano un NPS (Net Promoter Score, indicatore del passaparola) pari al -90,9%, a fronte di un +81,2% a favore di chi viene vissuto come inclusivo. Ciò si ripercuote sul differenziale della crescita dei ricavi: le aziende che nonostante la crisi pandemica non hanno interrotto il loro piano di sviluppo e il loro impegno sulla D&I hanno registrato un +23%.

Il Diversity Brand Index 2021, sviluppato sulla base di una ricerca condotta da gennaio a dicembre 2020 su 1.039 intervistati, ha visto una riduzione dei brand citati come “maggiormente inclusivi” (388, contro i 482 dell’anno precedente), a causa soprattutto della riduzione dei contatti per via del lockdown e perché molte imprese nell’affrontare la crisi hanno preferito focalizzarsi su altro. Non a caso, vengono premiate le aziende capaci di comunicare con canali come e-commerce, infotainment, social network, in particolare quelle dell’information technology (+8%), apparel & luxury goods(+10%), healthcare & wellbeing (+8%).

Cambia anche il profilo dei consumatori. Fra le persone più negative nei confronti della diversità, scompaiono arrabbiatissime/i , e arrabbiate/i passano dal 25,4% dell’anno scorso al 12,4% (il 63,7% sono uomini). Mentre un 40% di 18-35enni, soffrendo di una vita sociale ‘reclusa’, sviluppa un atteggiamento non positivo verso alcune forme di diversità, come può essere l’età avanzata.

Sull’altro fronte, si registra però un forte aumento dei consapevoli (+ 11,5% ), persone attente all’inclusione anche se non direttamente coinvolte. La maggioranza delle persone (55,5%) è comunque altamente sensibile e attiva sulle tematiche della diversity, con anche un 21% di impegnate/i. Il dato complessivo è che l’88% degli intervistati propende sempre più positivamente verso i brand più inclusivi.

“Il Diversity Brand Index indica la necessità di investire sulla fiducia per compensare le paure generate dalla pandemia. Per i brand è fondamentale consolidare la relazione con consumatrici e consumatori, recuperando le fasce di popolazione che si sono sentite abbandonate”, dice Francesca Vecchioni, presidente di Diversity. “Dalla ricerca infatti emerge un nuovo cluster di persone, prima disinteressate al tema, che oggi dimostrano interesse quando l’inclusione tocca la loro cerchia di conoscenti e il loro nucleo familiare”.

Francesca Vecchioni

Mentre Sandro Castaldo, partner fondatore di Focus MGMT, professore ordinario alla Bocconi e presidente del comitato scientifico del Diversity Brand Index, commenta: “Il 2020 è stato un anno complicato per il Paese e per le aziende, si è creato un vuoto di fiducia. In un momento in cui il trust nei confronti del mondo istituzionale non è ottimale , i brand hanno un ruolo determinante. La fiducia persa da consumatrici e consumatori nei confronti delle istituzioni viene infatti riversata sui brand e la D&I è un driver fondamentale per generare trust”.