Diffamazione, la Cassazione: Va tutelata anche la vita privata dei vip, non bastano notorietà e curiosità, ci vuole interesse pubblico

Condividi

Non bastano la notorietà “più o meno vasta” di una persona o la “semplice curiosità del pubblico” affinché “siano sciorinati (…) i fatti della sua vita privata” , ma è necessario ci sia un interesse per la collettività.  A ribadirlo è stata la quinta sezione penale

della Corte di Cassazione nella sentenza con cui – scrivono su Ansa Francesca Brunati e Igor Greganti – ha respinto il riscorso del cantautore Cristiano De Andrè contro la decisione con cui la Corte d’Appello di Trento nel gennaio dell’anno scorso ha confermato la condanna di primo grado a un mese di reclusione pena sospesa e a un risarcimento di 5000 euro alla ex moglie e madre dei suo figli da lui diffamata nel libro autobiografico ‘La versione di C’.

Esterno della Corte di Cassazione (Foto Mauro Scrobogna /LaPresse)

Il provvedimento degli ermellini fa inoltre il punto sul diritto di cronaca e di critica invocato da De Andrè partendo dal principio per il quale l’interesse di una persona “alla conservazione della propria onorabilità deve essere bilanciato con altri interessi, pubblici e privati, pure meritevoli di tutela”, tra cui quelli della collettività a una corretta informazione su fatti che la riguardano e alla “libera formazione delle opinioni sui temi di carattere generale” quali  “l’individuo e la società”.

Per tanto, per i giudici, che hanno reso definitiva la condanna, al di là del fatto che le vicende e le qualità della ex moglie del cantautore non rivestissero interesse pubblico e non rivestiva una grande notorietà, in base alla giurisprudenza, non è sufficiente la notorietà a dare il ‘disco verde’ al diritto di cronaca e critica. Invece va condiviso l’orientamento “secondo il quale le vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale possono risultare di interesse pubblico, quando possono” fornire “elementi di valutazione della personalità o della moralità di chi debba godere della fiducia dei cittadini”. E poi  “non è certo la semplice curiosità del pubblico a poter giustificare la diffusione sulla vita privata altrui – si legge sempre nel provvedimento – , perché è necessario che tali notizie rivestano oggettivamente interesse per la collettività”.

Cristiano De André (Foto LaPresse -Andrea Negro)

E nel caso esaminato, “si è – secondo l’appropriata definizione della Corte d’Appello – ‘dato in pasto alla generalità dei lettori la cronaca pettegola di vicende domestiche, anche di palmare futilità, senza che in esse possa vedersi qualche barlume di interesse sociale’, sicché correttamente è stato escluso che De Andrè possa essere scusato sulla base del diritto invocato”.