La nuova Guerra Fredda è digitale

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Attacchi hacker, spionaggio 
informatico, fake news, troll. 
Nell’agenda geopolitica 
di Biden la cybersicurezza 
assume un ruolo fondamentale

La nuova Guerra Fredda è già cominciata. I nuovi conflitti globali agiscono sottotraccia, sono difficili da identificare e mettono a rischio economia, infrastrutture e società civile. È il mondo che cambia: all’epoca delle maggiori tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica, la minaccia era quella nucleare ed era tangibile, con il ricordo ancora vivido della prima bomba atomica. Oggi il digitale sta prendendo il posto del nucleare sia nell’immaginario sia nell’agenda dei grandi. La prima stretta di mano tra Biden e Putin è in tal senso emblematica. Tra i temi sul tavolo spicca la cybersicurezza, una questione scottante, piena di zone d’ombra e di silenzi, specialmente per i dati che in questi anni legano alla Russia i cyberattacchi e altre forme di guerra digitale.

Attacchi hacker oggi: i dati

L’ultimo report di Privacy Affairs ha documentato negli ultimi dieci anni 500 attacchi informatici di natura geopolitica indirizzati a reti statali. Un aumento del 440% rispetto al periodo precedente, con il 35% degli attacchi che ha avuto origine in Russia o in Cina e ha colpito nel 26% dei casi gli Stati Uniti. Visto il quadro, le potenze cercano una soluzione al problema. L’obiettivo, almeno nel breve termine, è rallentare la corsa alleggerendo la tensione internazionale. Le cyberforze sono diverse dagli eserciti tradizionali, si muovono in silenzio nelle trame della Rete e come predatori naturali assumono forme qualsiasi senza lasciare quasi traccia. C’è un fatto importante da non trascurare: la partita tra difensori e attaccanti è del tutto sbilanciata a favore dei secondi. Il difensore deve coprire qualsiasi punto in un numero sterminato di sistemi critici, l’attaccante ne sceglie uno ed è sufficiente che scopra una sola debolezza. Nell’immateriale cambiano i rapporti di forza. Questo fatto spiega anche perché prevenire gli attacchi hacker è così difficile. È successo a Colonial Pipeline, azienda che gestisce il maggiore oleodotto americano (in foto Joe Biden parla dell’attacco – Foto LaPresse, ndr). Preso di mira da un attacco malware, l’oleodotto è stato bloccato per cinque giorni causando perdite economiche e carenza di carburante nella East Coast, cuore pulsante degli Stati Uniti. Un caso non isolato. Ad aprile, l’amministrazione Biden ha riportato di un attacco hacker durato mesi a SolarWinds. A maggio è toccato a Microsoft. L’elemento comune di questi attacchi? La presunta partecipazione di criminali informatici russi. Visto il quadro, capite bene il peso dato da Biden a questo negoziato e la reticenza di Putin ad affermare qualsivoglia coinvolgimento della Russia. Biden teme che un’eventuale escalation possa mettere in ginocchio infrastrutture strategiche e aziende statunitensi, tanto da aver consegnato al Cremlino una lista di 16 strutture critiche che devono essere off limits da ogni specie di attacco. Ma il presidente Usa così fa il gioco della Russia, che mira ad accreditarsi come una delle principali potenze. Gli attacchi finiscono in minima parte nei giornali: Deutsche Telekom, ad esempio, monitora in tempo reale gli attacchi tentati alle proprie infrastrutture di rete. I numeri sono da capogiro: oltre 20mila attacchi al minuto, circa 30 milioni di attacchi ogni giorno. In gioco ci sono le infrastrutture strategiche delle maggiori potenze mondiali. Non trascuriamo lo spionaggio, parte essenziale delle nuove guerre digitali. Basti pensare a quanto è successo con Pegasus, lo spyware utilizzato per intercettare le conversazioni di Jeff Bezos e di Jamal Khashoggi, il giornalista ucciso a Istanbul nel 2018. La guerra digitale è anche fake news. Di recente ho incontrato su Twitter l’adv del vaccino russo Sputnik V: una cosa impensabile fino a pochi mesi fa. Numerosi report descrivono la Russia impegnata in prima persona nel creare disinformazione ad hoc proprio sui vaccini e sul Covid. Strumenti di questo caos informativo, spesso, sono i troll. Ne parlavamo su queste colonne pochi mesi fa. Raphael Badani era un giornalista che affrontava le più delicate questioni mediorientali, soffiando sul fuoco del conflitto. Peccato non esistesse: era il sapiente mix di finte identità digitali e intelligenza artificiale. Come lui ce ne sono migliaia. Magari nati all’interno della Internet Research Agency, la ‘fabbrica di troll’ creata in Russia con l’intenzione di diffondere notizie false e che, secondo un’indagine del Dipartimento di giustizia Usa, interferì nella campagna elettorale statunitense del 2016. La nuova guerra digitale si combatte così: attacchi hacker, spionaggio informatico, fake news, troll. Web e social i nuovi campi di battaglia, difficili da decifrare per i non esperti. Una volta almeno un carro armato potevano riconoscerlo tutti.