Punti chiave
- Sport e tivù generalista
- Tokyo 2020
- Intervista a Urbano Cairo
- Sky
- Non solo streaming
- Produrre contenuti
- Colossi del web
Diritti sportivi, disagi degli utenti, contaminazione delle piattaforme e ingresso dei colossi del web. Si è parlato di tutto questo durante l’incontro dal titolo ‘Viaggio nella nuova era televisiva e digitale’ in programma al Museo della Scienza nell’ambito del Festival dello Sport. Protagonisti Marco Leonardi, Head of Content Rights Acquisition Mediaset, Marcello Dolores, Vice President Corporate, Legal, Affiliate & Partnerships Discovery e, collegato in streaming da Londra, Marzio Perrelli, Executive Vice President Sky Italia. Il dibattito si è contrapposto tra una visione più romantica (Discovery) e una più cinica (Mediaset) sul futuro delle produzioni sportive con in mezzo la posizione di Sky. Stranamente assente Dazn.
Sport e tivù generalista
“Lo sport è importante anche per una tv generalista”, ha esordito Leonardi, “Abbiamo acquisito per la prima volta i diritti della Coppa Italia, in precedenza esclusiva Rai, e siamo tornati a trasmettere gli Internazionali d’Italia. All’utente finale interessa poco la piattaforma che gli porta in casa il contenuto quanto piuttosto vederlo. Il futuro? Ci sarà una sempre maggiore interconnessione tra le piattaforme.
Tokyo 2020: 372 milioni di persone hanno vissuto i Giochi in tv
Grandi numeri per Discovery dall’esperienza di Tokyo 2020. “Abbiamo investito 1,3 miliardi di euro e siamo soddisfatti”, ha dichiarato Doloressu, “una copertura di 3000 ore, 30 feed in contemporanea tutti gli eventi, 372 milioni di persone che hanno vissuto i Giochi in tv e online, numeri quindici volte a quelli delle Olimpiadi invernali di PyeongsuperioreChang. Un altro motivo di soddisfazione è stato che chi si è abbonato per vedere Tokyo si è collegato praticamente ogni giorno. Tutto questo ci fa guardare con molta fiducia a Pechino prima e Parigi poi”.
Intrervista a Urbano Cairo
Sky, attenzione focalizzata sul valore del prodotto
“I nostri canali sono un punto di riferimento per chi fa sport, per chi lo vende e per chi lo guarda sia per la qualità sia l’affidabilità dei nostri contenuti”, ha sottolineato Perrelli, “quando vengono ceduti dei diritti bisogna poi capire se il valore del prodotto aumenta, come avviene quando vengono trasmessi da Sky. Quest’anno, inoltre, abbiamo ampliato la nostra offerta dimostrando di non essere legati a un unico evento, per altro importante, come la serie A”.
Il tema dei disagi dei contenuti calcistici in streaming ha ovviamente tenuto banco. “La rivoluzione digitale è in corso e il nostro paese si sta attrezzando per colmare il digital divide esistente”, ha ammesso Leonardi, “i disservizi non impediscono comunque al contenuto di arrivare nelle case degli italiani ma è evidente che certe piattaforme, al momento, siano più performanti di altre”.
A volte non basta solo lo streaming
“La digitalizzazione del paese è aiutata dallo streaming ma solo non è sufficiente”, ha aggiunto Perrelli, “un prodotto come una partita di calcio che vede collegate centinaia di migliaia di persone contemporaneamente è diverso da un film che ognuno di noi può iniziare a vedere a qualunque ora. Per alcuni contenuti solo lo streaming non è la soluzione vincente”.
Visione più focalizzata sul prodotto, invece, quella di Discovery. “Un primo livello è quello del tipo di linguaggio, il secondo quello delle storie”, ha spiegato Dolores, “Durante le Olimpiadi abbiamo fatto uno sforzo imponente anche sui nostri profili social, lavorando sui canali di comunicazione più vicini alle nuove generazioni, anticipando le stories degli atleti poi impegnati in gara”.
Come ha più volte detto Ivan Gazidis, ad dell’AC Milan, i giovani seguono le iniziative in grado di essere connesse.
Produrre contenuti da fruire su più device
“I nativi digitali hanno difficoltà a seguire un unico evento su un’unica piattaforma, piuttosto guardano una partita in tv mentre sono connessi con il mondo attraverso altri supporti”, ha spiegato ancora Leonardi, “Dovremmo arrivare a pensare e produrre contenuti che nascono per essere fruiti su più device, sarà più difficile con lo sport e certo non ci arriveremo domani. Però quello sarà il futuro”. “La formula vincente è la contaminazione degli sport e dei racconti”, ha aggiunto Perrelli, “come lo scorso mese di luglio quando abbiamo avuto insieme Wimbledon e gli Europei di calcio”.
E poi c’è l’ingresso dei colossi del web, come Amazon e Facebook, che rischiano di rompere gli equilibri esistenti.
“La competizione fa aumentare la concorrenza e il valore del diritto”, ha ammesso Leonardi, “l’ingresso di questi soggetti determinerà un incremento nel costo dei diritti. Lo sport è una property degli operatori pay perché le altre tv difficilmente riescono a stare al passo. Oggi il cambiamento è molto più rapido rispetto al passato. A spaventare è sicuramente Amazon: a lui non interessa la remunerazione del diritto sportivo quanto portare più persone all’interno del proprio market place. Nel prossimo triennio ci sarà una vera e propria guerra sui diritti”.
“Più che di acquisto occorre parlare di affitto dei diritti sportivi”, ha sottolineato ancora Perrelli, “bisognerà poi capire se quando il diritto torna al legittimo proprietario il prodotto sia stato valorizzato oppure no. è necessario inoltre operare con le stesse regole e con una governance globale, rispettando le medesime norme fiscali”.
“La concorrenza dei giganti del web e sotto gli occhi di tutti”, ha ammesso ancora Dolores, “I soldi contano e tanto ma il successo del prodotto sportivo non dipende solo dai budget messi sul piatto. È importante la confezione del prodotto e la possibilità di fornirlo nella migliore qualità possibile permessa dal mercato. Vincente è anche la complementarietà, insieme al calcio abbiamo unito i tre grande slam, la profondità e verticalità dei prodotti, la coerenza e la consistenza delle proposte”.
“Demonizzare i nuovi operatori non ci porta da nessuna parte, occorre conoscere i nostri avversari”, ha concluso Leonardi, “Se parliamo di serie A le società hanno bisogno di soldi, non c’è una lega forte come in Inghilterra con società che monetizzano non solo dai diritti televisivi ma anche con il merchandising”.