Dal 1992 più di 1.400 giornalisti sono stati uccisi per aver svolto il loro lavoro. In almeno 900 di questi casi si è trattato di una rappresaglia diretta. E il 90% di questi omicidi è rimasto impunito. Casi sono stati denunciati, tra gli altri, in Colombia, Russia, Filippine, Slovacchia, Malta, ma il problema è globale.
E’ quanto sottolinea l’atto di accusa consegnato al Tribunale permanente dei popoli, istituzione che ha sede all’Aja e che ha aperto un procedimento sugli omicidi dei giornalisti con l’obiettivo di accendere un faro e contribuire a fermare l’impunità, proponendo vie per riaffermare che gli Stati sono responsabili della protezione dei giornalisti e sono tenuti ad agire in caso di minacce nei loro confronti. La decisione è stata presa a conclusione della Sessione di apertura che si è tenuta il 2 novembre scorso.
Il TPP “è consapevole che l’omicidio di giornalisti è un problema universale, non solo nei paesi non democratici ma in tutto il mondo”, così come è conscio “della gravità e dell’importanza di questa piaga, conseguenza di un ambiente ostile alla libertà di stampa”, ha dichiarato il Segretariato generale del Tpp, motivando l’apertura della procedura e richiamando l’attenzione sulle “gravi conseguenze” della “impunità quasi totale’ anche per la società.
Dopo la sessione di apertura, in cui testimoni ed esperti hanno documentato la natura sistemica dell’impunità per gli omicidi di giornalisti e il suo impatto sull’attività di informazione e sulla società, il Tpp procederà, attraverso una serie di udienze, da gennaio a maggio 2022, ad esaminare tre casi emblematici.
La giuria riunisce diverse competenze che presentano una pluriennale esperienza nel settore, garantendo, al tempo stesso, un’indipendenza di giudizio. Tra i 9 componenti ci sono 3 italiani: Nello Rossi, che è il vicepresidente del Tpp ed è il direttore di Questione Giustizia, la rivista di Magistratura democratica, Mariarosaria Guglielmi, magistrata e vicepresidente di Medel e la giornalista e scrittrice Martina Forti.
I numeri di Rsf
“La violenza e i crimini contro i giornalisti sono al loro apice Secondo il calcolo effettuato da RSF, 990 giornalisti e membri degli staff di mezzi di comunicazione sono stati uccisi nel mondo fra il 2010 e il 2020 a causa o nell’esercizio del loro lavoro, consistente nell’informare il pubblico. Dall’inizio del 2021, ne sono stati uccisi già 39”. E’ la testimonianza resa dal segretario generale di Reporters Senza Frontiere, Christophe Deloire, al Tribunale.
Le zone di guerra come l’Afghanistan o l’Iraq rimangono “estremamente pericolose per i giornalisti: dall’inizio della guerra in Siria nel 2011, RSF ha calcolato che sono stati uccisi 270 giornalisti (professionisti e non) e membri degli staff di mezzi di comunicazione. Negli stessi ultimi 10 anni, in Afghanistan ne sono stati uccisi 63. Ma anche Paesi che non sono ‘zone di guerra’ possono essere fatali, per i giornalisti: dal 2015, 62 giornalisti sono stati uccisi in Messico, 24 in India, 17 nelle Filippine”.
Gli abusi ai danni dei giornalisti aumentano anche nell’Unione Europea: il loro numero “è raddoppiato negli ultimi due anni, e dal 2015, 14 giornalisti sono stati uccisi”. Tra loro le 8 vittime degli attacchi contro Charlie Hebdo in Francia, gli omicidi di Daphne Caruana Galizia a Malta nel 2017, di Jan Kuciak in Slovacchia nel 2018 e, nel 2021, di Giorgios Karaivaz in Grecia e Peter De Vries in Olanda.
“Gli omicidi di Daphne, Jan, Giorgios e Peter restano ad oggi impuniti – ha ricordato Deloire – mentre i mandanti sono ancora in libertà. Lo stesso accade in altre parti del mondo, dove il brutale assassinio di Jamal Khashoggi nel 2018 o l’assassinio di Anna Politkovskaja in Russia nel 2006 restano impuniti”.