Calato il sipario sul MIA – Mercato Internazionale Audiovisivo 2021, edizione particolarmente riuscita svoltasi a Roma dal 13 al 17 ottobre nella cornice del Festival del cinema, vi raccontiamo a bocce ferme i protagonisti, le novità e le prospettive di questo mercato, in cui non si vende il prodotto ma si scovano idee e costruiscono incontri e relazioni.
Lo si potrebbe definire l’anno della svolta, in cui il MIA – qualificandosi come un appuntamento a forte carattere europeo, in cui gli americani hanno timbrato il cartellino in massa – ha avuto la controprova di essere stato intercettato dai radar del mercato internazionale. Mentre il mercato di Cannes, costoso e pesante, perde pezzi e presenze, quello di Roma – più economico e flessibile – cresce in partecipazione e reputazione.
I NUMERI DEL MIA
Sono arrivati a Roma 2mila operatori da 56 Paesi al 100% in presenza: 600 top player, 450 produttori, 800 buyer.
40mila gli incontri b2b in un Palazzo Barberini sempre gremitissimo. Circa 350 i progetti in sviluppo e produzione, discussi nelle sessioni di Pitching e negli incontri ristretti tra operatori.

LE SEZIONI
Due le sezioni principali del MIA: Scripted (film e serie), di cui è responsabile Gaia Tridente, e Unscripted (doc e factual), sotto la direzione di Marco Spagnoli. In entrambe panel e conferenze con i big internazionali e nazionali hanno lavorato per capire dove sta andando il mercato delle serie e dei film. Viviamo infatti una fase di enorme cambiamento, dovuto al digitale, che ha mandato in crisi tutti i vecchi modelli di finanziamento, produzione e distribuzione del cinema e della tv. C’è poi una terza sezione – Strategic development – guidata da Francesca Palleschi, cui fanno capo i market screening, gli showcase del film e le attività legate alla compravendita del prodotto finito.
Si è discusso tantissimo quest’anno al MIA, come se gli operatori avessero un grande bisogno di respirare una boccata di aria pura dopo il lungo blackout dei lockdown.

MODELLO CALAMARO
‘Squid Game’ è stata la parola che è più risuonata al MIA. La serie coreana di Netflix diventata un fenomeno globale ha monopolizzato la discussione: ormai tutti i produttori vogliono scovare il nuovo ‘gioco del calamaro’.
La novità è che, a partire da Netflix, i giganti dello streaming hanno preso a produrre molti contenuti locali, per spingere la crescita degli abbonamenti nei vari Paesi. Contenuti in lingua originale che si stanno dimostrando attrattivi, riuscendo anche a diventare blockbuster mondiali.
Questo processo ha avuto come corollario un altro fenomeno dirompente, sottolineato da produttori e registi Usa come Joe Russo di Agbo e David Levine di Anonymous Content: il contenuto americano sembra in fase decrescente, mentre a rubare la scena sono i prodotti non in lingua inglese. Non a caso anche l’industria Usa guarda fuori dei confini e stringe accordi con player locali per produrre local.
“Il trend è ormai conclamato: l’evoluzione dello scenario favorisce le voci non americane che fino a poco tempo fa non avrebbero mai penetrato il mercato internazionale. Il must oggi è portare alla ribalta prodotti non di lingua inglese che conquistano il mondo”, dice Gaia Tridente, che conclude: “È evidente che per Paesi come il nostro si aprono porte e scenari imprevisti”.
LA CRISI DELLA SALA AL MIA
Si è anche molto discusso della crisi della sala e del modello produttivo finanziario e distributivo a essa legato. Alla sala ha dato il colpo di grazia l’accoppiata streaming-pandemia. Anche se le carte sono in movimento gli operatori più attenti danno per assodato che lo streaming è il futuro, mentre alle sale resteranno solo film evento e colossal, in una collaborazione bilanciata con le piattaforme.
Il problema però è che le piattaforme oggi conoscono tutto dei clienti, ma senza rivelare nulla al mercato. La battaglia per la trasparenza dei dati da parte dei giganti del digitale è un terreno su cui si confronta l’intera Europa.

NUOVA ERA GEOLOGICA
La relazione tra cinema e tv in continua evoluzione è stata al centro della riflessione, considerato che oggi allo spettatore medio dello streaming non interessa sapere se sta guardando un film, una serie o una miniserie: vuole solo un prodotto eccezionale.
Rispetto a tre anni fa, è come se si fosse entrati in un’era geologica nuova. Il cambiamento si misura anche sulle finestre, ovvero gli intervalli di sfruttamento di un film dalla sala agli altri mezzi (pay tv, free tv, vod, eccetera).
Andrea Scrosati, ceo di Fremantle Europa, ha detto: “Tre anni fa c’erano enormi resistenze a modificare anche solo di poco le finestre. Oggi invece la decisione di fare o meno uscire un film in sala dipende da che cosa è giusto per il singolo progetto. Noi, per esempio, abbiamo tre film in uscita con diversi modelli. Tre anni fa sarebbe stato impensabile”.
DOC & FACT
Anche la sezione Unscripted ha mostrato come la nuova età dell’oro della non fiction sia stata rivitalizzata dalla domanda proveniente dai giganti dello streaming.
Se ne è parlato nel panel di R. J. Cutler, regista e produttore di ‘Billie Eilish: the World’s a Little Blurry’, che ha ottenuto un mucchio di like su Netflix. Riflettendo su trent’anni di carriera sempre in prima linea nel documentario americano, Cutler ha mostrato come è cambiato l’ecosistema del doc ora che gli ott pagano somme a otto cifre per docuserie e docufilm.
Marco Spagnoli ha sottolineato una tendenza documentaristica all’opera musicale e biografica: “Amazon Prime ha annunciato al mercato la nuova docuserie su Laura Pausini, un doc seriale, musicale e biografico allo stesso tempo, per la regia di Ivan Cotroneo. Ma in Italia di doc musicali se ne fanno meno che all’estero per il costo esorbitante dei diritti musicali”.
Per la prima volta è stato poi proposto un focus sul factual, diverso per il formato e per i dettagli narrativi, ma che come il doc appartiene al racconto del reale che il pubblico adora.
Sul factual sono intervenuti due esperti, arrivati per la prima volta dal MIA: James Blue, direttore di Mtv News & Docs, e André Renaud di Bbc Studios. Il primo è stato protagonista del panel ‘Doc/factual boundary’, in cui si è cercato di capire cos’è il factual, l’altro di ‘Global trends, local stories’, che ha analizzato i fattori chiave dei format unscripted di successo.
GRANDI REGISTI AL TELELAVORO
Il MIA è nato dalla volontà dell’industria italiana di portare all’attenzione del mercato internazionale il nostro prodotto e anche questa settima edizione ha presentato un fitto calendario di screening e proiezioni: 140 titoli di cui 80 anteprime, quasi tutte italiane proposte, nei classici showcase con i nuovi prodotti di Stefano Accorsi, Marco Bellocchio, Fabrizio Bentivoglio, Alessandro Borghi, Alessandro Gassmann, Luigi Lo Cascio, Ferzan Ozpetek, Zerocalcare.
Se vogliamo i trend più interessanti arrivano dall’area del drama e dalla serialità, in cui si allenano anche blasonati registi di cinema. Tra le chicche in vetrina al mercato, ‘Esterno notte’, l’attesissima prima serie di Marco Bellocchio che racconterà il rapimento di Aldo Moro in una chiave inedita rispetto al suo vecchio film ‘Buongiorno, notte’ sullo stesso argomento, e la prima di Ferzan Ozpetek con la versione seriale del suo film ‘Le fate ignoranti’.