Mentre l’incontro tra la Meloni e la Moratti, possibile candidata moderata al Quirinale, sta gettando scompiglio nel centrodestra e sta irritando Berlusconi; mentre Letta ammonisce che nessun leader politico e’ mai stato eletto al Quirinale (dimenticandosi Giuseppe Saragat, fondatore e leader del Psdi), Renzi suggerisce di valutare la candidatura di un ex presidente di Camera o Senato, che ha gia’ avuto l’esperienza di arbitro istituzionale “super partes”. In effetti, a scorrere l’elenco dei 12 presidenti della Repubblica, ben sette (De Nicola, Gronchi, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro e Napolitano) erano stati presidenti di Camera o Senato, contro quattro (Segni, Leone, Cossiga e Ciampi) che erano stati presidenti del Consiglio. Letta ha aggiunto anche i giudici costituzionali, che dovrebbero essere per definizione “super partes”, soggetti solo alla Costituzione: cosi’, includendo Mattarella, arriviamo a 8 su 12. E’ chiaro che il primo effetto di questa indicazione, se venisse accolta, sarebbe quello di escludere dalla corsa al Colle Berlusconi e gli altri “non presidenti di Camera o Senato” e “non giudici costituzionali”, come Gentiloni, Prodi, Finocchiaro e la stessa Moratti. Resterebbero invece in lizza, tra i nomi circolati nelle ultime settimane, Casini, Pera, Amato e Cartabia, piu’ altri ex presidenti: Violante, Grasso, Boldrini e persino Bertinotti, Fini, Scognamiglio, Mancino, Schifani e Pivetti. Oltre ovviamente agli attuali Fico e Casellati.
Resta poi aperto il tema del “metodo”: posto che centrodestra e centrosinistra grosso modo si equivalgono attorno ai 430-450 grandi elettori e poi c’è la “terra di mezzo” di Italia Viva, Coraggio Italia, e gli altri gruppuscoli e “cani sciolti” del Gruppo Misto con 110-120 grandi elettori, nessuno puo’ rivendicare il ruolo di King maker giocato in passato da De Mita con Cossiga, Veltroni con Ciampi e Renzi con Mattarella. Quindi le strade sono solo due. O i leader di tutti i partiti mettono da parte le gelosie e le identita’ e si siedono attorno al tavolo per cercare un “minimo comune candidato”, che possa andare bene a tutti o quasi, da eleggere al primo scrutinio coi due terzi dei voti. Oppure decidono di andare ciascuno per proprio conto con candidati contrapposti dalla quarta votazione, quando bastera’ la maggioranza semplice di 505 voti. Col rischio – sottolineato da Letta – che il prossimo Capo dello Stato venga eletto da una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo Draghi, il che provocherebbe quasi certamente la crisi e ci porterebbe alle elezioni anticipate.