Le medie e piccole aziende senza una strategia di tipo sostenibile rischiano di essere tagliate fuori dal mercato. Ma ci sono modi per affrontare i criteri Esg con flessibilità, trovando una propria strada
LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, dicembre 2021
La sostenibilità è davvero accessibile a tutte le imprese? Se nessun protagonista del mondo dell’economia, piccolo o grande che sia, può sottrarsi oggi alla sfida (e alla retorica) degli iperuranici obiettivi Onu e dei più concreti fattori Esg, la ‘sostenibilità della sostenibilità’ per le medie e per le piccole imprese è un terreno ancora tutto da esplorare.
Fino a qualche anno fa gli investimenti in sostenibilità erano considerati semplicemente un lusso per grandi imprese e multinazionali, se non addirittura un divertissement utile per convegni e interviste. Oggi invece, dopo che l’intero pianeta è entrato con sorprendente rapidità nell’era della sostenibilità, molte aziende si trovano in mezzo al guado. Mi riferisco alla grande pancia del nostro sistema imprenditoriale, a quelle medie e piccole imprese che rappresentano la vera essenza del capitalismo italiano. Ogni giorno, nella mia attività di advisor che supporta le aziende verso nuove strategie di posizionamento, mi rendo conto che molte di loro si trovano di fronte a una sorta di ‘dilemma del prigioniero’: se da una parte (quasi) tutti i mercati dei prodotti e molti mercati dei servizi corrono in direzione del modello Esg, dall’altra parte la sostenibilità non giustifica ancor oggi agli occhi dei consumatori aumenti di prezzi adeguati agli investimenti necessari da parte delle aziende. Il vento della sostenibilità, insomma, non sembra tirare ancora a favore delle medie e delle piccole imprese.

Che fare, dunque? Caricarsi di costi in più per evitare di rimanere spiazzati dall’evoluzione del mercato ma accettando di peggiorare il proprio conto economico, oppure difendere i propri bilanci e scommettere che la rivoluzione della sostenibilità sia una moda passeggera, accettando il rischio di dover uscire gradualmente dal mercato? La domanda è retorica, in realtà, perché le evoluzioni della finanza, della produzione, delle normative europee e nazionali, dell’opinione pubblica a livello globale si muovono tutte nella stessa direzione: senza una strategia convincente di tipo sostenibile (non basta più solo una comunicazione efficace, non funziona più il greenwashing), il rischio di essere tagliati fuori è molto alto. Ma attenzione: non esistono modelli di sostenibilità validi o necessari per tutte le imprese, anzi. Gli addetti ai lavori sanno che il modello Esg non è un moloch unico: la flessibilità dei criteri Esg e della loro rendicontazione è ancora notevole, e consente alle aziende di cercare una propria strada verso la sostenibilità.
Questa è una buona notizia per medi e piccoli imprenditori. Prima di programmare investimenti importanti e dall’incerto ritorno è possibile (anzi, è fortemente consigliabile) valorizzare e mettere a sistema quanto le loro imprese già fanno – magari in modo episodico o non formalizzato – per la difesa attiva dell’ambiente, il miglioramento delle modalità e della qualità del lavoro in azienda, il rafforzamento della comunità in cui opera l’impresa, la trasparenza nella gestione. In molti casi può essere sufficiente questa attività di sistematizzazione e di rafforzamento per ottenere una certificazione di sostenibilità, presentandosi sul mercato in modo più attraente.
D’altronde le istituzioni europee si stanno già muovendo per definire un sistema valutativo meritocratico che premi le imprese ‘Esg oriented’, attraverso un percorso normativo e fiscale volto a riconoscere quelle società che abbiano scelto uno sviluppo più sostenibile. In Italia, invece, mancano ancora strategie fiscali che incentivino le imprese a scegliere modelli di sviluppo sostenibile. Ciò penalizza soprattutto le piccole, che peraltro saranno tagliate fuori in grandissima parte dai progetti di economia circolare e rivoluzione green finanziati con il Pnrr, in virtù di bandi scritti per grandi imprese e multinazionali.
Rendere ‘più sostenibile la sostenibilità’ è dunque una delle grandi sfide cui si trova di fronte oggi il nostro sistema imprenditoriale. Ed è facile prevedere che sarà anche, di conseguenza, uno dei terreni di gioco (obbligati) delle lobby datoriali nei prossimi mesi, a partire da Confindustria. La partita è aperta.