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La sfida competitiva nel produrre contenuti

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In un’arena iper affollata è necessario avere i talenti migliori, tra manager, giornalisti, programmatori, grafici, per costruire un modello di business sostenibile per le notizie o per l’intrattenimento

NELLA RETE DI VITTORIO – Prima Comunicazione, Gennaio-Febbraio 2022

Siamo nel 2022, la rivoluzione digitale dei media ha ormai più di 20 anni; le piattaforme, gli strumenti, la letteratura hanno coperto ogni angolo di analisi, investito ogni settore, germinato discussioni con risvolti politici, psicologici, tecnologici e antropologici. Abbiamo attraversato una pandemia, regredito nell’uso di codici di linguaggio militaristici e intimidatori, gongolato nella pornografia statistica dei bollettini quotidiani, affrancato opinione al fianco di informazione, confuso gli influencer con gli esperti, gli opinionisti con le fonti autorevoli. Un’industria che vede crescere il suo peso specifico nelle vite di ciascuno può percepire la sua influenza nella costruzione del linguaggio comune, eppure rimane testimone della costante regressione della sua capacità di abbinare a questa centralità di consumo la capacità di monetizzare, di dare un valore economico alla sua rilevanza sociale e politica.

Ogni anno che passa, il mestiere di editore si fa più difficile, i modelli di business si frantumano e si moltiplicano, costringendo aziende in fondo semplici, cresciute per anni con un modello di fatturato legato alla circolazione e alla pubblicità, ad affrontare complessità, mutevolezza e un rapporto diretto col consumatore che mai aveva pensato di avere. Cambiamento continuo; formule, come quella dell’abbonamento digitale, che sembravano finalmente solide ma che rivelano limiti strutturali e, comunque, costringono a inseguire il cambio della tecnologia, degli apparati, del disegno dell’esperienza e, infine, della competizione viva, agguerrita, continua. Si fa fatica ormai a raccontare una storia vincente dei media, a tessere ancora una volta una mitopoietica felice come quella degli anni Ottanta in cui questa era l’industria dove lavorare, dove il potere e la ricchezza si intrecciavano fino a far fiorire Silvio Berlusconi, Ted Turner o Rupert Murdoch. Oggi questa è un’industria di passione e sofferenza, più vicina all’inchiostro rosso che a quello nero.

Oggi ci sono sempre meno editori e sempre più grandi gruppi; conglomerati per cui i media (e ciascun media specialmente) sono un business ancillare, una forma evoluta di marketing, un’occasione di negoziazione col potere, piuttosto che una missione primaria.

La debolezza dei media ha permesso alle piattaforme digitali di intermediazione (dai social ai motori di ricerca, dagli ecosistemi degli store alle piattaforme di aste pubblicitarie) di mangiare risorse, mangiare talento, mangiare creatività e ridisegnare i contorni del rapporto con il pubblico. Si sono appropriate di quella rilevanza che mai come oggi i media hanno per le nostre società, ma che ognuno di noi identifica prima nella piattaforma, nel device, nell’olistica parola digitale piuttosto che nei singoli atomi di informazione, intrattenimento o approfondimento che consumiamo.

Non ci sono vie facili fuori da questa situazione; solo una quotidiana, faticosa e triplice sfida competitiva contro un mondo grande, globale e molto finanziato. Bisogna produrre contenuti e contenitori capaci di rinnovare continuamente il rapporto con il lettore in un’arena iper affollata, dove le relazioni di fedeltà non sono mai garantite. Bisogna ricordare, con una narrativa e una metrica efficaci, al potere e alle aziende che la rilevanza che loro cercano per i loro messaggi è del media e non della piattaforma. Bisogna attrarre il talento migliore, tra gli imprenditori, i giornalisti, programmatori, grafici, narratori, disegnatori di esperienza, senza perderlo per soldi o per grigiore nel confronto con le big tech o con altre industrie più capaci di generare fatturato e utili.

Non esiste una formula universale per costruire un modello di business sostenibile per le notizie o per l’intrattenimento. Ciò che funziona per una comunità di lettori potrebbe non funzionare per un’altra, ciò che funziona ora potrebbe non funzionare in futuro, il miglior contenuto potrebbe essere reso vano da un pessimo involucro digitale.

Oggi l’opzione migliore sembra combinare un flusso di entrate dirette dalla comunità dei consumatori, attraverso abbonamento, donazioni e distribuzione fisica, con una vendita pubblicitaria frammentata e complessa, che persegue contestualmente grandi volumi (per le piattaforme automatiche e digitali) e progettualità individuale cross mediale per le aziende o le istituzioni. Gli editori in tutto il mondo stanno integrando con eventi, licenze di marchio, costruzione di servizi digitali, moduli di formazione e servizi personalizzati. Al centro la capacità di costruire un prodotto che sappia rinnovare quotidianamente la relazione con i consumatori, e il talento in azienda di monetizzare questa relazione in maniera complessa, competitiva e flessibile. Dove il prodotto va oltre il contenuto e comprende la struttura intera della relazione digitale e fisica con la comunità dei consumatori; la monetizzazione richiede ottimizzazione del presente e sperimentazione costante del futuro.