Con l’elezione del presidente della Repubblica si è avviata una nuova fase che corrisponde alla fine della politica tradizionale. L’importanza del territorio. E dei giovani
CONVERGENZA – Prima Comunicazione, Gennaio-Febbraio 2022
Partiti finiti, destra inesistente, Pd forse qualcosa, cinquestelle spaccati e praticamente finiti, eccetera. La convergenza dei commenti sul significato dopo sette giorni di prove di voto per l’elezione del presidente della Repubblica, che hanno alla fine portato all’elezione di Sergio Mattarella (il ripiego di tutti i ripieghi), un presidente che aveva solennemente dichiarato più volte di non voler più ricandidarsi e invece è stato costretto di fatto a salvare la Repubblica.
Qualcuno potrebbe malignare che la fine di questa politica corrisponde da tempo anche alla fine di chi la commenta. Pochi sanno dare una risposta alla questione: a cosa servono i giornali, indipendentemente dal supporto cartaceo e digitale? Fanno un’opinione, creano un servizio, creano un supporto alla cultura di governo (come era nelle radici delle società democratico liberali)? La risposta è sempre: no. Il gioco autoreferenziale di media e politica arriva al suo culmine anche simbolico, e il declino dell’una corrisponde al declino degli altri. Un esempio su tutti: i giornali li legge meno di un giovane su dieci (ricerca Makno-Iulm gennaio 2022 sulla percezione sociale della democrazia liberale).
Di fatto il passaggio simbolico è forte, ma la questione è vecchia, la politica non c’è da tempo, il potere che dovrebbe rappresentarla o esprimerla sta da altre parti, e la questione è semmai quella di comprendere come possa essere sostituita da altri poteri che, come già si dimostra, si determinano nella fattualità dei progetti che nei vari territori devono essere realizzati al servizio delle varie comunità.

Si tratta di un collasso del sistema politico che ha effetti diretti sul sistema produttivo e sulle varie forme dello Stato welfare che s’innesca su evidenze strutturali fondamentali. La prima è il potere burocratico amministrativo, che diviene un sistema praticamente criminale di assorbimento di rendite, di posizione e di sistemi chiusi di interessi, che generano un meccanismo di burocracy conservativo e di fatto blocca qualsiasi reale forma di processo di innovazione. Dall’altra parte genera un meccanismo regressivo di autoconservazione di quello che una volta si sarebbe chiamato il ceto politico.
Ma questa fase sta già evolvendo nella prospettiva di forme alternative possibili: vanno tutte nella costruzione di un modello di politica attuato negli interstizi dei vari poteri organizzativi e istituzionali che generino alleanze, soggettività imprenditoriali di varia natura, e realizzino una progettazione economica, tecnologica e un servizio evoluto, come si diceva, per le comunità nei territori.
Questi nuovi poteri interstiziali (imprese, sistemi di rappresentanza professionale, centri scientifici e università, fondazioni culturali, soggetti benefit) hanno un’estensione e un’articolazione significative con una componente nuova accomunante che è quella di muoversi nella specificità dei territori. E questa è l’altra novità della nuova politica, quella di trovare meccanismi identitari e di rappresentanza proprio nelle diverse aree di sviluppo, urbane ed extraurbane del Paese.
Il valore del territorio come unità di definizione storica dell’Italia c’è sempre stato ma la crisi pandemica ha disegnato questa entità come la natura nuova e sostitutiva di una forma Stato il cui declino è simmetrico a quello dei poteri burocratici e politici. Qualcosa, in questa nuova politica, che si avvicina – come risposta estrema – a quella natura federale che non è mai stata realizzata. E che vede nelle forme metropolitane che si differenziano nel territorio (per estensione dell’area, per aggregazioni delle diverse sotto-aree, per unione delle città rete, per aggregazione a massa critica dei borghi piccoli, eccetera), la nuova forma dello Stato nazione, non un unicum ma una combinazione di identità differenziate.

I casi concreti di questo meccanismo si stanno allargando con una doppia caratteristica: quella di poter attingere con formule private differenziate alla grande disponibilità di risorse monetarie che sono in circolazione, e di muoversi con grande velocità (quella tipica di un approccio privato) nelle applicazioni concrete dei progetti.
Una delle parole più usate e meno capite, una sorta di pop semantic meaning, è stata la ‘società liquida’ di Bauman… la si continua a usare come il mantra del designato vacante… ma nella politica nuova questo mantra ha invece un significato comprensibile: e cioè che in modo non destrutturato si distribuisce nei territori costruendo opere e attività per convergenze e interessi asistematici. Le situazioni e i poteri territoriali generano poteri liquidi, che si adattano, trasformandoli, ai vari contesti e territori.
Questa non è una visione fiabesca e retorica, ma è una consapevolezza sociale che riguarda i diversi ‘pezzi’ della società che queste dinamiche le ha già anticipate assumendo comportamenti di distacco dalla politica. Bisogna infatti ricordare che da oltre dieci anni metà della cosiddetta opinione pubblica non esprime scelte di alcun tipo verso l’‘offerta politica’: semplicemente non vota. E la questione riguarda i grandi ‘distaccati’ dalla politica: i giovani! In realtà questo pezzo della società, assunto convenzionalmente come tutt’uno, è molto interessato alla ‘res publica’, crede nella democrazia liberale, detesta l’uso politico dei social ma disprezza come ignorante la classe politica, vuole, per almeno l’80%, processi partecipativi forti e chiede un potere effettivo fattuale nei progetti gestiti, appunto, da vari poteri con in testa i soggetti economici e quelli rappresentativi dei bisogni sociali: tutti e due sì, e insieme.