(foto Ansa)

Vietato pulirsi con il greenwashing

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Importante sentenza del Tribunale di Gorizia che riconosce la illiceità della pratica. “Le dichiarazioni ambientali verdi devono essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti”

LOBBY D’AUTORE  – Prima Comunicazione, Marzo-Aprile 2022

Se qualche lettore ha ancora dubbi sulla portata della rivoluzione sostenibile in corso, lo invito a leggere l’ordinanza cautelare emessa il 25 novembre scorso dal Tribunale civile di Gorizia. È una decisione storica, a suo modo, perché riconosce per la prima volta in Italia l’illiceità del greenwashing. “Le dichiarazioni ambientali verdi devono essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile”, ha sancito il Tribunale, in quanto “la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore”. Nel dispositivo dell’ordinanza c’è il riconoscimento ‘giudiziario’, dunque, della notevole importanza assunta negli ultimi anni dalla sostenibilità per il mercato, i consumatori e le aziende. Un’importanza che può giustificare l’intervento dei giudici per bloccare o sanzionare la comunicazione pubblicitaria di un’azienda (del settore tessile, in questo caso, ma potrebbe valere in molti altri ambiti) che non risponda ai requisiti stringenti definiti dal Tribunale.

La decisione è destinata a lasciare il segno, in un ambito nel quale la linea di confine tra ‘magie’ del marketing e realtà dei fatti è sottilissima. Ma in realtà la battaglia contro il greenwashing registra un numero crescente e qualificato di protagonisti a livello internazionale, a partire dalle istituzioni europee. Circa un anno fa, la Commissione Ue ha stilato un innovativo report sulla “sostenibilità delle aziende sostenibili”, verificata mediante il monitoraggio dei messaggi pubblicitari pubblicati dalle aziende sui siti web proprietari. Il risultato è stato sorprendente: oltre la metà dei green claim esaminati presentava ‘sintomi’ di illiceità, perché fondati su affermazioni vaghe e generiche, oppure (nella maggior parte dei casi) perché non erano supportati in alcun modo da dati e informazioni che dimostrassero la fondatezza di quanto raccontato negli spot pubblicitari.

La regolazione della materia è in rapida evoluzione. Se da una parte l’Unione europea non si è ancora dotata di norme ad hoc, dall’altra alcuni Paesi si stanno dotando di strumenti specifici di tutela dei cittadini e delle imprese da fenomeni di greenwashing. È il caso della Francia, che ha introdotto di recente una sanzione pecuniaria fino all’80% del costo totale della campagna pubblicitaria ingannevole a carico di aziende che lancino campagne di greenwashing. È ugualmente interessante il dibattito sul tema in corso negli Stati Uniti, dove l’amministrazione Biden sta progettando strumenti innovativi volti a combattere il greenwashing, come per esempio nuove unità operative specializzate sul tema all’interno delle agenzie finanziarie.

Tornando al nostro Paese, la decisione del Tribunale di Gorizia rappresenta ora un precedente rilevante, che rischia di orientare la ‘giurisprudenza’ dettando la linea in materia. È interessante il fatto che il Tribunale abbia basato la sua pronuncia sull’articolo 12 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, secondo cui “la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili”. Questo riferimento implica una possibilità di tutela – di fronte a operazioni di greenwashing – non soltanto dei cittadini, ma anche di altre imprese che siano state danneggiate dal comportamento illecito dell’azienda condannata.

Non sfuggirà a nessuno, tuttavia, come (in mancanza di una normativa in materia, che sarebbe comunque complessa da definire) sia incredibilmente ampio oggi il potere discrezionale affidato ai giudici: determinare se un messaggio pubblicitario possa essere considerato greenwashing o meno implica una valutazione di merito particolarmente delicata da parte della magistratura, senza avere a disposizione riferimenti oggettivi. È un rischio su cui occorrerà riflettere attentamente.

(Nella foto, Ansa, le proteste a Francoforte di Greenpeace e KoalaKollektiv contro la Ue per greenwashing sul nucleare)