Il tweet postato dall’ambasciata russa a Londra che denunciava come falsa la foto di una donna incinta trasportata su una barella fuori dall’ospedale di Mariupol, sostenendo che tutte le persone fotografate erano attori. Dalle verifiche fatte è risultato che la donna era vera ed è deceduta per le ferite riportate.

Il nuovo arsenale della comunicazione

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Anonymous attacca, le ambasciate russe diffondono false informazioni, reti no vax e no euro sostengono Putin su Twitter. Insomma: chi governa la percezione governa l’opinione pubblica

SPIAGGIA LIBERA – Prima Comunicazione, Marzo-Aprile 2022

Questa è la prima guerra dell’era digitale. Forse non la prima in assoluto ma la prima in termini di portata, vicinanza culturale e geopolitica. Una guerra non solo di carri armati ma anche di comunicazione. E non è affatto uno scontro tra due nazioni ma coinvolge indirettamente tutte le potenze mondiali, compresa quella europea che fa fatica a riconoscersi come tale. In definitiva uno scontro tra Occidente e Oriente. Tra democrazie e autarchie. Due contendenti, da una parte Volodymyr Zelensky, che combatte anche attraverso i social e le dirette Zoom, dall’altra parte Vladimir Putin con la sua narrazione istituzionale asciutta centrata sull’attacco per denazificare e rispondere alla minaccia della Nato.

La percezione è un campo di battaglia estremamente importante poiché può significare aiuti, armamenti, intervento o sovvenzioni in grado di ridurre all’impotenza l’avversario. La posta in gioco è altissima. Da questo punto di vista Zelensky si sta rivelando un avversario formidabile. Nell’intervento al congresso Usa nella sua semplice maglietta verde militare dice: “Da noi è l’11 settembre ogni giorno”. Una frase di rara potenza che rappresenta e moltiplica attraverso il ricordo.

La partita di Putin, dal punto di vista della comunicazione, si è rivelata subito in salita, in primo luogo perché è l’aggressore e poi perché a differenza di Zelensky deve gestire due campi di battaglia: uno interno e uno internazionale. E il tempo non gioca a suo favore, il protrarsi del conflitto sta aggravando entrambe le sue posizioni. Internamente deve gestire un’opinione pubblica che è addomesticata ma non del tutto inerte. Non a caso, il servizio russo di controllo sulle comunicazioni Roskomnadzor è stato categorico: i giornali non possono parlare di ‘guerra’ o ‘invasione’ ma di ‘operazione militare speciale’. La distanza concettuale tra i due significati è enorme, ridicolmente enorme. Putin è riuscito dove Donald Trump ha fallito: “You are fake news” tuonava inutilmente cinque anni fa Trump verso una platea composta dai migliori giornalisti politici in circolazione. In Russia, invece, viene rapidamente varata una legge: chiunque – media o privati cittadini – diffonda disinformazione sull’esercito e sul governo russi rischia fino a 15 anni di carcere. Dove disinformazione è tutto quello non conforme alla linea ufficiale.
Mi ha colpito un tweet di un giovane e sprovveduto russo, quasi un grido di dolore: “Tenetevi il Donbass ma ridatemi Netflix”. Spero sia ancora in circolazione.

Dal punto di vista internazionale la partita di comunicazione di Putin è molto più complessa poiché deve veicolare messaggi del tutto diversi da quelli interni connotati da nazionalismo e restaurazione del grande impero. Su questa battaglia però è tutt’altro che impreparato. Viene dal Kgb, non scordiamolo, e sono anni che affina la capacità di influenza utilizzando proprio i social network. Nel 2019 su Prima abbiamo pubblicato un articolo sulla fabbrica dei troll russi, una fabbrica di falsi profili che influenzano l’opinione pubblica estera su tematiche chiave. A differenza di Zelensky che agisce in prima persona, Putin agisce in modo indiretto ma capillare, nei singoli Paesi e nella loro lingua.
In Italia abbiamo analizzato la comunicazione di decine di account TikTok che fanno post citando Vladimir Putin. Il 70% di questi è favorevole al presidente russo e l’80% degli account analizzati è stato creato o ha iniziato a pubblicare video nel corso del 2021. Non è un’operazione improvvisata. Anche su Twitter abbiamo studiato un fenomeno simile: dietro all’hashtag #IoStoConPutin c’erano pochi utenti chiave. Questi profili avevano attivamente postato nelle campagne no vax, no euro, no Draghi. Questa intersezione dovrebbe far molto pensare. La disinformazione elevata a sistema di influenza.

La Russia, nonostante tutto questo, sta perdendo la guerra di comunicazione. Sono entrate in gioco anche le ambasciate, e questa è una novità; subito dopo il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol, in Ucraina, le istituzioni russe hanno affermato che all’interno dell’edificio ci fossero solo combattenti ucraini, salvo poi sostenere che i feriti fossero degli attori. La tesi, palesemente falsa, è stata rilanciata anche dall’ambasciata russa nel Regno Unito, che ha accusato una donna di aver interpretato il ruolo della donna incinta e ferita. I tweet sono poi stati rimossi, come i bambini che nascondono la marachella. La percezione è un’entità complessa da maneggiare, l’unico risultato certo ottenuto da Putin è aver creato insicurezza e quindi spinto al riarmo generale, reso più coesa l’Europa e ridato slancio alla Nato. Proprio il contrario di ciò che voleva.

(Nella foto il tweet postato dall’ambasciata russa a Londra che denunciava come falsa la foto di una donna incinta trasportata su una barella fuori dall’ospedale di Mariupol, sostenendo che tutte le persone fotografate erano attori. Dalle verifiche fatte è risultato che la donna era vera ed è deceduta per le ferite riportate)