Nella consapevolezza anti falsificazione, i giornalisti potrebbero avere un ruolo nel promuovere uno sguardo laterale e vedere la vera questione geopolitica dell’assetto mondiale
CONVERGENZA – Prima Comunicazione, Maggio 2022
La guerra produce molteplici effetti, ci cambia, crea aree di paura e di interessi nuovi, alimenta reazioni generalmente emotive e poco razionali che col tempo generano patologie paranoiche.
Questo può riguardare tutti, ma non dovrebbe riguardare i giornalisti, che per il loro ruolo dovrebbero essere ‘sopra’ come guardiani e custodi distaccati di quello che avviene. E invece… Una delle paranoie ricorrenti riguarda le fake news e le responsabilità connesse, storia vecchia (è dagli anni Sessanta/Settanta che se ne parla). Fake news è ormai euristica al nostro modo di essere.
Ricordo una ricerca della Makno per la Rai di circa 20 anni fa sul tema del vero e falso nell’informazione. Morale: il pubblico riconosce, ha dubbi, ma alla fine gliene importa poco, la credibilità è nella struttura narrativa e argomentativa dell’informazione.
Ora, invece, succede che di fronte ai fatti della guerra, di fronte a informazioni e video su stragi vere o ricostruite come in un set televisivo (non ci vuole un videomaker per coglierle) con testimonianze vere o fasulle, il dibattito si avvita sulla responsabilità e sull’etica dei giornalisti nell’accreditare. Come spesso accade i giornalisti parlano di se stessi anziché di ciò che li circonda e intanto il mondo va altrove, come la guerra che contiene informazioni false, come in tutte le guerre.
E la guerra oggi è un atto della società in cui viviamo. Il testo fondamentale su questo tema è del 1967 ‘La società dello spettacolo’ di Guy Debord. Quel libro fondava politicamente il movimento situazionista. Oggi di situazionisti ce ne sono pochissimi, ma la società dello spettacolo la sentiamo e la viviamo ogni giorno e ognuno deve confrontarsi e combattere innanzitutto con una propria consapevolezza. La guerra è parte della società dello spettacolo, che contiene e appiattisce il vero e il falso nell’insieme caotico delle informazioni. Che fare di fronte a tutto questo agitarsi? Inseguirlo, gestirlo? Impossibile e patetico: un mostro troppo complesso e veloce.
Ma i giornalisti, nella famosa consapevolezza anti falsificazione, potrebbero avere un ruolo nel promuovere uno sguardo laterale e andare oltre il tema del dentro il conflitto russo/ucraino. Per esempio proporre la vera lettura importante che è il fine di tutto questo e vedere la vera questione che è quella geopolitica dell’assetto mondiale. Con il gigante silenzioso, la Cina, che compie movimenti ben percettibili, come con la sua presenza nel mar Mediterraneo, diventata imprescindibile per lo sviluppo della regione. Come raccontano studiosi del T.wai, il Torino World Affairs Institute, “le compagnie marittime e logistiche cinesi dominano le rotte che collegano la Cina all’Europa lungo la ‘Via della Seta marittima del XXI secolo’, componente marittima della Belt and Road Initiative (Bri), e continuano ad acquisire importanti terminali portuali strategici, come dimostrato dai casi di Valencia, Vado Ligure, Ambarli, Pireo, Marsiglia, Port Said, Marsaxlokk, Cherchell, Haifa, Istanbul”.
Pochi mesi fa alle Olimpiadi di Pechino il presidente Xi Jinping, insieme a Putin, ha dichiarato che vuole dare un nuovo equilibrio al pianeta, un equilibrio euroasiatico. Come andrà questa storia, che movimenti e che tempi avrà? E noi italiani che faremo? Un bel tema per inchieste e approfondimenti a cui si dedicano centri di ricerca come Ispi e T.wai, e anche un bello spazio di pensiero, se ai giornalisti rimanesse tempo da dedicargli, presi come sono a parlare della propria etica.
La questione geopolitica apre il modo di vedere questa stessa guerra, che ne è una sineddoche. Qui la responsabilità dell’informazione è grande e c’entra poco con la verginità morale in ciò che accade negli episodi della guerra in Ucraina. Questa guerra va vista e spiegata rispetto a prospettive molto complesse che potrebbero portarci a ben altra guerra. Questo va raccontato e spiegato al pubblico, cioè al corpo sociale. E questa sì che è una grande responsabilità morale per chi fa questo mestiere.
(Copertina originale della prima edizione in francese, pubblicata nel 1967, di ‘La società dello spettacolo’ di Guy Debord)