Basta con la mitologia delle startup
(…) Il maestro Manzi del nostro tempo è Massimo Banzi, inventore di Arduino, che ha insegnato al mondo una lingua tutta nuova: quella per programmare hardware e creare prototipi.
Arduino nasce nel 2005 a Ivrea ed è in origine una scheda open source, cioè a codice aperto, oggi utilizzata o ‘scaricata’ da un universo globale di decine di milioni di persone. “Dal 2005”, dice Massimo Banzi, “la nostra missione non è mai cambiata. Rendere molto semplici le tecnologie più complesse e metterle a disposizione del maggior numero possibile di persone. Dando loro strumenti e il potere di progettare tecnologia anche senza conoscerla fino in fondo”.
“Le schede e i software di Arduino, rigorosamente open source, sono oggi usati da una community che spazia fra 30 e 50 milioni di persone in tutto il mondo. Su Arduino ha preso vita il movimento dei Maker, sono nati i FabLab, intere generazioni hanno appreso come costruire, programmare ed esplorare. Non è male!”.
Un mese fa è stato annunciato un robusto round di finanziamento da 32 milioni di euro che lancia Arduino da Lugano (dove oggi ha sede) tra le stelle tech globali. D
i investitori italiani non ce n’è neanche l’ombra. Non li avete voluti? “Non c’è un vc italiano, non c’è una big corp italiana. Ma non è che non li abbiamo voluti, semplicemente non è capitato. In compenso il round è stato guidato dalla Robert Bosch Venture Capital (Rbvc), affiancato dal colosso dei chip Arm, dal leader giapponese dei semiconduttori Renesas e dal venture americano Anzu Partners”.
Rimane il fatto che Arduino è un brand globale, al punto che non avete speso un centesimo per essere sempre presenti in ‘Mr. Robot’, la serie cult Netflix sugli hacker con Rami Malek. Soprattutto siete una delle poche imprese tech sensate, nate negli ultimi 20 anni in Italia. Fa impressione che l’Italia non investa. “Guarda, non è che ci sono cose che non posso dire, ma con Fabio Violante (oggi ceo della società) abbiamo deciso due cose. La prima. Non potevamo girare l’Italia per spiegare cosa vuol dire oggi Arduino. La seconda. Oggi siamo 150 persone tra Italia, Svizzera, Stati Uniti e resto del mondo. Siamo tutti super impegnati e la nostra battaglia quotidiana è quella di non defocalizzarci. Vorremmo fare mille cose, ci vengono ogni giorno nuove idee, moltissime anche dalla nostra community. La lotta è resistere alle distrazioni e restare concentrati. Così abbiamo fatto una scelta all’americana, lo dico con autoironia. Dopo un tender abbiamo affidato il compito a un global advisor di New York che facesse da coordinatore. Sulla base del briefing, ci ha aiutato a scegliere gli interlocutori migliori, anche con valenze industriali e non solo finanziarie. Alla fine del giro non c’erano italiani, tutto qui”.
Vi siete stufati di fare la startup, avete deciso di fare gli adulti nella stanza? “Ma sì, hai ragione, basta con questa mitologia delle startup, soprattutto in salsa italiana! Open innovation, closed innovation, eventi, buffet, convegni, convegnucci, e tutto questo circo qui. Noi dobbiamo fare imprese tecnologiche e non è uno scherzo. Imprese globali, che fatturano, crescono, creano posti di lavoro qualificati, insomma aziende vere che vivono e danno da vivere in modo dignitoso, non power point”. (…)
La versione integrale dell’intervista è sul numero in edicola e in digitale di Prima Comunicazione.
