Il Presidente della Serbia Aleksandar Vučić e il Primo Ministro del Kosovo Albin Kurti sono attesi a Bruxelles giovedì 18 agosto per il vertice sulle tensioni fra Belgrado e Pristina. L’Ue guarda con crescente preoccupazione allo stato dei rapporti fra i due governi, compromesso dalla ‘Crisi delle targhe’ e dalla speculazione mediatica sulla questione balcanica.
La crisi di inizio agosto
L’esecutivo kosovaro aveva previsto per l’1 agosto l’entrata in vigore della nuova normativa sulla validità delle targhe automobilistiche in transito dalla Serbia. Per attraversare il confine con il Kosovo, i viaggiatori avrebbero dovuto montare targhe provvisorie recanti la sigla Ks, ovvero ‘Repubblica del Kosovo’. Il provvedimento era stato deciso già nel 2021, sull’esempio della normativa serba che imponeva ai cittadini kosovari in transito di esibire targhe temporanee a titolo di visto d’ingresso.
Lo stesso per il documento di riconoscimento. La protesta di centinaia di cittadini di etnia serba residenti nel nord del Kosovo, ha poi costretto il governo di Pristina a rimandare all’1 settembre l’emanazione del provvedimento. La protesta ha interessato le località al confine di Jarinje e Brnjak, dove i manifestanti hanno bloccato il traffico con auto, tir, cisterne e altri mezzi pesanti. Le autorità locali hanno poi proceduto con la chiusura dei due valichi.
Il ruolo dei media
Da quel momento in poi, la crisi si è trasferita sul campo mediatico. Il Presidente Vučić non ha esitato a considerare la situazione “a un passo dalla catastrofe”, mentre il Premier Kurti si è detto preoccupato per le ingerenze del Cremlino sulla politica estera serba. A questo proposito a Repubblica ha dichiarato: “Le proteste non sono state spontanee, ma organizzate da Belgrado con il supporto della Russia”.
Per questa ragione, le alte rappresentanze Ue intendono ora richiamare entrambe le parti sui pericoli della “retorica incendiaria” condotta sia da Belgrado che da Pristina.
I precedenti nel 2004 e il ruolo di Europa e Nato
Già nel 2004, una fuga di notizie false dal Kosovo aveva provocato 19 morti, dopo che alcuni cittadini serbi erano stati accusati dell’annegamento di due bambini albanesi. In quell’occasione, dall’Ocse avevano ritenuto come la causa degli incidenti fosse stata la disinformazione “avventata e sensazionalista”.
Dal 2011 dunque, Bruxelles si propone di mediare il dialogo fra Serbia e Kosovo, prevedendo la nomina di un apposito Rappresentante Speciale per il Dialogo Belgrado-Pristina – oggi il diplomatico slovacco Miroslav Lajčák -. Tuttavia, la prossima sessione sembra essere la più urgente. La stessa Kosovo Force – la missione Nato in Kosovo – ha fatto sapere in un comunicato di essere “pronta a intervenire qualora la stabilità venisse messa a rischio”.

Inoltre, come sostengono dalla redazione di Euroactiv, con la complicità dei social i pericoli della disinformazione aumentano esponenzialmente. L’agenda del vertice Ue dovrebbe infatti riguardare anche la speculazione sulla crisi in corso condotta sui social. All’indomani della protesta, sui canali Telegram Grande Russia e Aquile sono state riportate notizie false sul ferimento di un cittadino di etnia serba e sull’attraversamento militare del confine su ordine di Belgrado. Notizie poi smentite dallo stesso ministero della difesa serbo.
A supporto del monitoraggio sulla guerra dell’informazione nel Balcani, nel 2021 è nata l’organizzazione Balkan Free Media, con sede a Bruxelles e diretta dalla giornalista bulgara Antoinette Nikolova. Nel rapporto ‘Social Media and the Information War in the Balkans’ pubblicato nel marzo 2022, Bfm ha indagato sulla strumentalizzazione della disinformazione social da parte dei governi autoritari. “In Serbia e nella Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina – si legge nel rapporto – le forme più significative di disinformazione sono tre: la disinformazione filogovernativa, la disinformazione filorussa e la disinformazione pro-serba”.
Quando alla disinformazione filorussa, Balkan Free Media riporta come la maggioranza dei cittadini serbi guardino con favore all’autoritarismo russo – come emerso da un sondaggio del 2021 – e alla prospettiva di un’alleanza politica e militare con il governo Putin. È un fatto che all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, sul tabloid ‘Informer’ si leggesse “L’Ucraina attacca la Russia”. Secondo l’organizzazione dunque, l’informazione serba farebbe da sponda alla disinformazione russa sull’evoluzione del conflitto.
Il rischio dunque è che il sentimento filorusso possa provocare fughe di fake news sugli sviluppi della crisi e sulla volontà del Kosovo di entrare nella Nato. “Le battaglie per la libertà dei media potrebbero sembrare insignificanti. Ma contribuiscono a combattere il grave declino dell’ambiente informativo che fa del Kosovo un bersaglio perfetto per la Russia e per chi vuole avvelenare il clima politico di quell’area”, ha dichiarato la direttrice di Bfm Antoinette Nikolova.