Vincenzo Vita (Foto LaPresse)

L’Agcom si è svegliata. I social non sono una terra straniera

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La delibera n299/22/CONS varata lo scorso 3 agosto sulla campagna elettorale in corso da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è un po’ come la serialità televisiva. Il calco si ripete, ma con qualche rottura della e nella continuità.

È proprio il caso del regolamento – contestuale all’omologo licenziato dalla Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai- deciso dall’Agcom in relazione alla tornata elettorale del prossimo 25 settembre.

La novità sta nel nuovo Titolo VI “Piattaforme per la condivisione di video e social network”, in particolare nell’articolo 28. Parliamo della legge n.28 del 22 febbraio del 2000.

Al comma 1 del citato passaggio si sancisce che “Le piattaforme per la condivisione dei video sono tenute ad assumere ogni utile iniziativa volta ad assicurare il rispetto dei principi di tutela del pluralismo…nonché ad adottare misure di contrasto ai fenomeni di disinformazione…”. E al comma 2 si richiama la necessità di contrastare la lesione del pluralismo informativo online; mentre al comma 4 si citano esplicitamente pure i social network, cui è fatto obbligo di osservare le disposizioni degli articoli 8 e 9 della legge del 2000 sulla par condicio. Si tratta dei punti inerenti ai sondaggi e alla comunicazione istituzionale.

Insomma, siamo di fronte ad un timido avvio di un sistema normativo, che per l’intanto si affida prevalentemente alla cosiddetta co-regolamentazione, vale a dire una sorta di patto tra l’Autorità e gli operatori finalizzato alle buone pratiche.

C’è molto da eccepire sulla effettiva disponibilità dei vari soggetti interessati (da Google, ad Amazon, a Facebook, a Twitter, a Tik Tok), abituati a crescere indisturbati grazie al mercato dei dati personali. Tuttavia, il muro comincia a sgretolarsi.

Intendiamoci. I riferimenti espliciti ai sondaggi (vietati nei quindici giorni prima del voto) o alla quarantena della comunicazione istituzionale sono utili, ma insufficienti. È da capire se nel Titolo del regolamento siano evocati implicitamente il silenzio elettorale, la pubblicizzazione dei finanziamenti delle pagine telematiche, l’uso delle dirette. Vale a dire, se per analogia valgano gli stessi principi applicati ai media classici.

Comunque, un passo avanti sembra esserci. Anche se la par condicio merita di essere rivista e corretta in salsa digitale.

Vincenzo Vita per Prima Comunicazione