Dalla campagna elettorale nessuna proposta innovativa, usate le stesse parole del ’94. Una lacuna assoluta, che riguarda tutti i partiti. Mancano
i think tank a supporto della politica
LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Settembre 2022
Non è stata soltanto la campagna elettorale più ‘pazza’ della storia repubblicana, quella che abbiamo appena vissuto. Perché non la ricorderemo soltanto per la tragica caduta di un governo che in realtà nessuna forza politica voleva far cadere davvero, men che meno gli italiani, ma anche per la sua ‘povertà’. Di visioni e di idee nuove, in primis. Zero proposte innovative da offrire agli italiani: un vuoto assoluto di cui sono protagonisti tutti i partiti, vecchi e nuovi. La controprova diabolica è la simpatia, addirittura il favore (trasversale) con cui è stata accolta la campagna elettorale di Silvio Berlusconi, che nei video per i tg, nei 6×3 disseminati per le nostre strade e addirittura su TikTok (Tak, aggiungerebbe lui) usa gli stessi – esattamente gli stessi – messaggi e le stesse parole d’ordine della campagna elettorale del 1994. Oggi nulla di diverso, neanche le foto, rispetto a 30 anni fa. Ma se i competitor non sono capaci di produrre nulla di nuovo, l’usato garantito può apparire perfino la scelta migliore.
Il vuoto di idee è spesso fratello dell’‘autarchia intellettuale’. È così anche stavolta: nessuno si è preoccupato neanche di andare a curiosare nelle ricette di politica economica e sociale proposte e realizzate negli ultimi anni nei Paesi dell’area Ocse. Lo si capisce subito leggendo i programmi delle coalizioni depositati formalmente per la presentazione dei simboli, nonché i programmi dei singoli partiti (visibili sui siti web): chi come me ha avuto la pazienza di farlo, è rimasto colpito dall’assenza di riferimenti puntuali a provvedimenti, idee, proposte generati in altri Paesi. Zero benchmark internazionale, zero eclettismo: i nostri partiti sono così disinteressati all’elaborazione di nuove policy che non le costruiscono in casa, non le ‘comprano’ fuori, non le cercano a livello internazionale. A scuola si copiava quando non si era preparati, qui non ci si preoccupa più neanche di una eventuale ‘bocciatura’ da parte degli elettori (chi legge più?) e si presenta direttamente il foglio bianco.

Non è un caso. A monte c’è l’evidente deficit in Italia di think tank, di strutture di analisi, di centri di ricerca a supporto della politica. Defunta la categoria dei funzionari di partito, chi pensa il pensiero politico oggi nel nostro Paese? Se da una parte le università se ne occupano poco, dall’altra parte i think tank da noi non hanno mai avuto particolare successo: tranne qualche lodevolissima eccezione, i circa 150 organismi del genere operanti in Italia sono in media poco internazionalizzati, poco influenti nella generazione di classe dirigente e di visioni politiche, poco prolifici sul piano dell’analisi e della ricerca, e infine poco trasparenti.
Ma nei partiti, questa gigantesca questione non sembra avere cittadinanza. Leader grandi e piccoli sono imprigionati nell’equazione secca politica=comunicazione, che riduce la politica alla ricerca del ‘claim’ di giornata da vendere sui social. Nei casi migliori, ad ascoltare gli umori della gente per farsene interprete: da leader potenziali a follower attuali. E se segui il gregge, invece di cercare di guidarlo, in fondo non hai bisogno di una visione. In questo scenario, sperare in ravvedimenti operosi è solo l’ennesima forma di inguaribile ottimismo?