Luca Ricolfi (foto Ansa)

Luca Ricolfi/La mutazione

Condividi

Ci sono le idee e la politica al centro del nuovo saggio ‘La Mutazione’ (Rizzoli) di Luca Ricolfi. E soprattutto c’è una interessante intuizione che fa da filo conduttore al suo lavoro d’indagine: i grandi principii, le visioni del mondo hanno la capacità di migrare, da sinistra a destra.
Al professor Ricolfi abbiamo chiesto di raccontare ai lettori di Primaonline quali sono queste idee e come è possibile che battaglie tipiche della sinistra (dalla difesa dei deboli alla libertà di espressione) siano diventate bandiere della destra. Ecco il suo contributo.

“Per chi, come me, è diventato maggiorenne alla fine degli anni ’60, è sempre stato ovvio che la difesa dei deboli, la libertà di espressione, la cultura fossero valori di sinistra. Quando, alla fine dell’università, cominciai a lavorare (per la mitica FLM, Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici), la sinistra era impegnata nella difesa delle rivendicazioni operaie, nella lotta contro lo squilibrio nord-sud, nella grande battaglia per aumentare i livelli di istruzione, allora drammaticamente bassi. Il contratto dei metalmeccanici firmato nel 1973 condensava emblematicamente tutto ciò: aumenti salariali per gli operai, misure contro la nocività in fabbrica, investimenti nel Mezzogiorno, 150 ore (retribuite) di scuola o di università per i lavoratori.
Parallelamente, gli studiosi e gli intellettuali progressisti combattevano le loro ultime battaglie contro la censura che, a quel tempo, ancora colpiva libri, canzoni, opere teatrali e cinematografiche (fra cui gli ultimi film di Pasolini).

Oggi di tutto ciò non c’è la minima traccia. La sinistra si occupa di diritti civili, minoranze sessuali (Lgbtqia+), immigrati: i poveri e i lavoratori “nativi” non le interessano più di tanto. Quanto alla libertà di espressione, esaurita l’epoca della censura dall’alto di opere scandalose o irriverenti, ai progressisti non è rimasto molto da fare, salvo farsi essi stessi censori del pensiero altrui, ogniqualvolta vi ravvisino violazioni del politicamente corretto.
Quel che è sorprendente, però, non è questo. Quel che è sorprendente è che due valori fondamentali – la difesa dei deboli e la libertà di espressione – siano passati da sinistra a destra.

Da almeno due decenni i ceti popolari votano a destra, perché si sentono meglio tutelati da chi prende sul serio la loro domanda di protezione economica (contro i guasti della globalizzazione), e di protezione sociale (contro la presenza, talora la prepotenza, degli immigrati nelle periferie urbane). E, sul versante della libertà di espressione, non si può non osservare che l’adesione acritica della sinistra ai dogmi del politicamente corretto ha offerto alla destra un’insperata occasione di ergersi a paladina della libertà di pensiero.

E la cultura? In questo mio ultimo libro (‘La mutazione’) ho provato a raccontare in che modo la sinistra, specie negli ultimi trent’anni, abbia finito per abbandonare non solo la difesa dei deboli e la lotta alla censura, ma anche l’idea gramsciana della cultura alta come strumento di elevazione e di emancipazione dei ceti popolari. Non mi sono spinto, però, a sostenere che anche questo terzo “cromosoma” sia migrato da sinistra a destra, così dando un ulteriore contributo alla mutazione del sistema politico.

Da qualche settimana, invece, il dubbio mi attanaglia: forse anche l’idea di emancipazione attraverso la cultura potrebbe andare ad arricchire il patrimonio valoriale della destra, o di una parte di essa. Che cosa me lo fa pensare? E’ molto semplice: la reazione negativa, di ostilità e sospetto, della maggior parte degli esponenti della sinistra alla convinta difesa del merito da parte di Giorgia Meloni. Una reazione incomprensibile, alla luce dell’articolo 34 della Costituzione: “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Sarebbe il colmo: la destra che si batte per i poveri “capaci e meritevoli”, contro una sinistra che ha il merito in gran sospetto”. (Luca Ricolfi)