Quelle due parole che possono salvarci

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In un mondo che nasce dalla rivoluzione cristiana e trova in quella socialista la sua prassi politica, non possono mancare le voci ‘cristiano’ e ‘socialista’

 COMUNICAZIONE POLITICA – Prima Comunicazione, Ottobre 2022

Il mondo intorno a noi è quello che è. Più in guerra del solito e con un conflitto alle porte che incrina la nostra ultima e lunghissima pace. Si esagera a scrivere che questo è un momento in cui “tutto potrebbe finire”? La frase è ambivalente e in ogni istante potrebbe muoversi verso una delle sue due opposte direzioni: quella che contiene la prospettiva di soluzione del conflitto e dei disordini che infestano il pianeta oppure, al contrario, quella tragicamente dissolutiva.

Abbiamo visto molti eventi su questa terra, incommensurabilmente più densa di fatti e di uomini che in qualsiasi precedente epoca, ma aleggia il sospetto che non sia ancora tutto. Complessità dormienti stanno esplodendo a catena e, contemporaneamente, questo violento tsunami della storia viene affrontato da una leadership planetaria non memorabile.

Noi, a questo collasso epocale, ci presentiamo con un Paese sventrato. Gli anni Ottanta sono un ricordo malinconico e sbeffeggiato di un benessere svanito, un apostrofo collocato tra il plumbeo ricordo degli anni Settanta, quelli di piombo, e il cupo dipanarsi dei Novanta, a cui sono seguite una vertigine di decadenza e una voragine di dissipazione e dispersione di ricchezza. L’ingegno di una nazione che dal dopoguerra aveva sempre fatto di necessità virtù, trasformando la sua carenza di materie prime nell’occasione per far brillare il suo talento manifatturiero, si è arenato; così, in pochi lustri, abbiamo perduto la nostra industria chimica, quella delle telecomunicazioni, quella automobilistica e identico, infausto, destino hanno avuto le più celebri case e marche della moda, insieme a molte altre strategiche realtà.

Quindi abbiamo demolito le vertebre della nostra colonna industriale; la spiegazione di queste ‘cessioni’ – quelle di partecipazione pubblica – era motivata dallo spegnimento del debito dei ‘detestabili’ anni Ottanta (che in verità avevano prodotto un debito, sano e sostenibile, necessario ad abbattere un’inflazione a due cifre – dal 16 al 4% – e la protesta sociale attraverso cassa integrazione, prepensionamenti e ammortizzatori sociali in un tempo di conflitti sociali violentissimi; la ricetta risultò così sbagliata che l’economia italiana reagì passando dal 17esimo al quinto posto del mondo). Invece, a conclusione di tutte queste svendite, ci ritroviamo con un debito pubblico raddoppiato (152%) e una società organizzata su un sistema formativo indegno, una sanità deragliata, non paghi di aver divelto infrastrutture pubbliche, commerciali, industriali, dei trasporti e aver mortificato e dissipato ogni politica di autonomia energetica che ci condannerà a inverni di case fredde e piazze calde.

La sintesi di tutta questa meraviglia è, che a poche ore del voto del 25 settembre, il 100% dell’offerta politica italiana aveva prodotto il 50% di cittadini non votanti o indecisi.

A incorniciare questo prezioso quadro una campagna comunicativa sciatta, obbligatoriamente balneare e incentrata su slogan avulsi da qualunque presa d’atto del drammatico contesto. Lunare. E con l’assenza reiterata, macroscopica e pesantissima, di due parole dal dibattito e della comunicazione politica: cristiano e socialista (che è un po’ come se in un supermercato di beni primari gli uomini trovassero ogni prodotto per la loro sopravvivenza, anche il più eccentrico e rinunciabile, ma non il pane e l’acqua). Ma dove sono scomparsi quei due termini e com’è possibile che nessuno, anche per mero utilitarismo tattico, si sia sentito interessato a rilevarli, valorizzarli, ripensarli e rilanciarli? 

Come loro succedanei, sono nate un’infinità di sigle capaci di dragare ogni fantasia botanica e faunistica per rinfrescare il panorama politico e l’immaginario degli elettori.

In un mondo nuovo, che nasce dal fiume della rivoluzione cristiana e trova in quella socialista, riformista, la sua prassi politica, umanitaria e accogliente, quelle due parole, non potranno mancare. Anche perché quando la nostra politica si riscopre tardivamente americana, e prova a sognarne la replica delle sue strutture istituzionali, dimentica che quel sistema impiantato su un Paese refrattario al mercato, resistente al merito e moralista rispetto a ogni lobbysmo come l’Italia, spalanca le porte non all’America ma al Sud America.

Il mistero dell’assenza di quelle due voci forse rappresenterà una buona materia di riflessione per chi ha passione per la comunicazione della politica e per la sua scienza. Si tratterà di capire e di esplorare, non per mercantile interesse di marketing, le ragioni di questo vuoto ricordando che, in politica e non solo, il vuoto non esiste, ma viene sempre colmato, rapidamente da altro. Non sempre migliore.