Se il palazzo torna a parlare di lavoro

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Il governo Meloni, dopo anni in cui l’attenzione era concentrata sulla produzione delle varie forme di rendita, ‘celebra’, il mondo del lavoro. Vediamo come e perché

LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Novembre 2022

Sogno o son desto? Dopo decenni di scelte dei decisori pubblici a favore della rendita d’ogni tipo, finanziaria, immobiliare o sociale, potrebbe essere iniziata in Italia una nuova fase storica in cui viene premiato – finalmente – il lavoro. E in cui, per questa via, verrebbero pienamente rilegittimati i corpi intermedi, quelle organizzazioni datoriali e sindacali che un giovane ex presidente del Consiglio voleva ‘rottamare’ in nome della disintermediazione del consenso.

Il condizionale è d’obbligo, naturalmente. Ma in questo momento è particolarmente interessante la convergenza di posizioni, di interessi e di fenomeni globali e nazionali che si sta materializzando a favore della produzione di reddito e dei suoi protagonisti. Come se una lobby (immaginaria) del lavoro avesse preso in mano all’improvviso le redini del legislatore, delle rappresentanze dell’impresa, dei sindacati e dell’opinione pubblica nel nostro Paese, mettendo in campo una strategia per spostare l’asse delle risorse economiche e dell’attenzione politica, finora concentrata sulle varie forme di rendita, in direzione del mondo del lavoro.

La scintilla da cui tutto ha avuto inizio è la crisi bellica. Le due conseguenze più nefaste sul piano economico dell’invasione russa in Ucraina, l’emergenza inflazione e il caro bollette, hanno aggredito stipendi e risparmi degli italiani in modo così repentino e violento da richiedere inevitabilmente una reazione del governo. Da questo punto di vista, è utile ricordare il focus del discorso di insediamento di Giorgia Meloni alla Camera. La neo premier non si è limitata a collegare strettamente la lotta all’inflazione galoppante con un miglior trattamento fiscale del lavoro, affermando che “è indispensabile intervenire con misure volte ad accrescere il reddito disponibile delle famiglie, partendo dalla riduzione delle imposte sui premi di produttività, dall’innalzamento ulteriore della soglia di esenzione dei cosiddetti fringe benefit, dal potenziamento del welfare aziendale” e promettendo di voler “arrivare a un taglio di almeno cinque punti del cuneo in favore di imprese e lavoratori per alleggerire il carico fiscale delle prime e aumentare le buste paga dei secondi”. Ma ha fatto derivare questa intenzione del governo dal fatto che “imprese e lavoratori chiedono da tempo come priorità non rinviabile la riduzione del cuneo fiscale e contributivo”, riferendosi implicitamente alla proposta del taglio del cuneo di 16 miliardi di euro lanciata già al governo Draghi dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che aveva trovato il consenso di tutti i sindacati salvo ‘emendamenti’ sui destinatari del beneficio fiscale (due terzi ai lavoratori e un terzo alle imprese per Confindustria, tutto ai lavoratori per i sindacati).

L’equazione politica è chiara: oggi tutelare gli italiani dagli shock di origine internazionale non vuol dire più (a differenza di quanto accaduto con i governi Conte rispetto alla pandemia) ricorrere a nuove forme di assistenzialismo, ma difendere con tutti i mezzi a disposizione il lavoro e i lavoratori. E la dignità di questi ultimi, perché “la povertà”, ha chiosato Giorgia Meloni, citando Papa Francesco, “non si combatte con l’assistenzialismo, la porta della dignità di un uomo è il lavoro”.

Dopo anni trascorsi a discutere di reddito di cittadinanza e navigator, una ‘celebrazione’ così netta del valore del lavoro è una novità importante. Non a caso, tra i primi e più pesanti atti ‘politici’ del nuovo governo c’è la riapertura delle porte di Palazzo Chigi ai sindacati: impossibile a oggi dire se è l’inizio di una nuova concertazione, ma anche in questo caso il segnale a favore del lavoro è forte e chiaro. Naturalmente non sarà un percorso lineare, né in discesa. I vincoli del nostro bilancio pubblico sono tali da lasciare poco spazio a sogni di gloria, come dimostrano i primi annunci della Commissione europea sul ‘nuovo£ Patto di stabilità. E la reazione della Cgil, che dovrà scegliere tra i tavoli di trattativa e la piazza, rimane un’incognita. Ma oggi, in Italia, una lobby del lavoro c’è e si vede.