Riflettori puntati sulla legge 230 che assimila le piattaforme web a “contenitori” senza responsabilità sui contenuti pubblicati dagli utenti
La Corte Suprema Usa mette nel mirino le big tech. Nei prossimi giorni prenderà il via l’esame di una legge di 27 anni fa che protegge i giganti del web da azioni legali e penali per i contenuti pubblicati dai loro utenti.
Cosa prevede la norma
Promulgata nel 1996, la legge 230 – considerata inviolabile da aziende come Instagram, Twitter, Youtube e Wikipedia – assimila le piattaforme semplicemente dei contenitori. Dando loro una immunità di fatto.
L’idea dietro al provvedimento era quella di proteggere l’allora embrionale mondo di Internet da cause legali a cascata e consentirgli di prosperare, incoraggiando al contempo le aziende del web di moderare i propri contenuti.
All’epoca la maggior parte dell’attenzione era rivolta ai contenuti sessuali, ma con il passare del tempo sul web sono cominciati ad arrivare altri pericoli come l’estremismo jihadista, i crimini d’odio, la violenza in genere.
E infatti, in due udienze, martedì e mercoledì, i massimi giudici americani ascolteranno le argomentazioni portate dai familiari delle vittime di alcuni attacchi terroristici che accusano Google e Twitter di aver “aiutato” l’Isis pubblicandone la propaganda.
Criticata anche da Trump
Sono 28 gli Stati che hanno chiesto alla Corte Suprema di rivedere la legge che protegge i giganti del web. A metà 2020, tra l’altro, l’allora presidente Usa, Donald Trump, aveva puntato il dito contro la stessa norma, accusando i social di assumere posizioni editoriali, con i loro interventi sui post pubblicti dagli utenti.