Il Governo e l’arte di gestire il vantaggio

Condividi

Quale dovrebbe essere il giusto timbro comunicativo di un nuovo esecutivo? L’importanza dei primi cento giorni per suggellare la luna di miele con gli elettori

COMUNICAZIONE POLITICA – Prima Comunicazione, Febbraio 2023

Solita premessa d’obbligo. So poco di molto. Quando poi sento parlare di politica provo il fastidio di chi, conoscendo l’acqua e il nuoto, ascolta insegnanti, professionisti e soloni spiegarti su come si stia meglio a galla (pur non avendo mai visto in vita loro una piscina o ancor meno il mare).

Ecco, la politica, avendo potere d’influire sulla vita di tutti noi, chiama, com’è giusto che sia, una spianata di riflessioni in libertà: parlano i bar, i talk show (che sono dei bar meno utili: nei bar, almeno, si consuma qualcosa oltre al proprio tempo), i rumori del digitale e tutti, com’è comprensibile, rovesciano la loro valanga di commenti, considerazioni e intuizioni su come sarebbe giusto risolvere ogni questione del mondo e del loro quartiere. E soprattutto di come andrebbe governato. Poi, a volte, viene il dubbio che chi parla non è dato di sapere se sarebbe in grado di gestire una tabaccheria senza farla fallire, ma così va il mondo; oggi un macellaio, in ragione della confidenza con la carne, è titolato a parlare di operazioni a cuore aperto e può zittire il suo vicino verduraio (per pacifica e plateale incompetenza). Ecco, la politica si è trasformata in un gigantesco catino di emozioni non filtrate in nessuno dei due sensi: quelle che provengono dell’elettorato e quelle profuse dai governanti.
Tutto pacifico, noto e arcinoto.

Questa premessa è fatta per ribadire che è assai facile commentare su quale sarebbe il giusto timbro della comunicazione o l’azione più lucida, efficace ed efficiente da adottare da chi governa (e, questo giudizio, quasi sempre, proviene da chi il governo mai l’ha visto e soprattutto non ha la benché minima idea di come lo si conquisti, mantenga, puntelli e alimenti; ed ergo non s’intuisce a quale titolo potrebbe additare e indicare le migliori soluzioni). Be’, perché innanzitutto rimane un problema di prospettiva.

Qualunque leader politico, in ragione del carisma che emana, contagia tutto ciò che gli è intorno e che subisce, dunque, un’involontaria mutazione; collaboratori, consulenti e partner, a meno che non abbiano una visione alternativa garantita da necessità tattiche o contingenti, s’impegnano a modificare molte delle proprie osservazioni per rendere la fotografia della narrazione del mondo quanto più accogliente al leader stesso. Il leader è già sommerso dalla contingenza e da una slavina di complessità. Il tempo da dedicare ai nuovi dossier che vanno a sommarsi ai vecchi – che nel frattempo non godono di prescrizione – costruisce intere muraglie e castelli di rebus. Quindi o si è dotati di un tocco messianico d’intuito, irresponsabile superficialità e capacità di surfare su questi marosi di difficoltà o le onde si trasformeranno presto in mulinelli e vortici. Questa considerazione, che oscilla tra il banale e l’ovvio, chiama a uno dei paradossi più inspiegati e irrisolti, non della storia della comunicazione, ma dei governi in sé: la misurazione dei primi cento giorni.

È pacifico che quella numerica non significhi nulla; cosa sono cento giorni per un’azione di governo? Niente. Però, c’è un però. Quei primi giorni, mesi, rappresentano il balsamo dell’entusiasmo e della luna di miele con il proprio elettorato. Sono quelle giornate in cui il rapporto di fiducia con il proprio consenso, organico o opportunistico, è aperto alla massima apertura di credito e collaborazione. Dunque, paradossalmente, sarebbe questo il momento in cui giocarsi la propria credibilità e l’affidamento politico anche nel resettare prospettive, nel compiere strambate di rotta giustificate dalla presa d’atto della vera condizione metereologica che accoglie la nave (una cosa è definire strategie, obiettivi, percorsi quando si è a terra e non si è ancora preso possesso della nave; un’altra è farlo quando l’imbarcazione ha preso il largo e le previsioni del tempo sono un’anticipazione di una realtà non più eludibile).

Centellinare, procrastinare, mediare porta in questi casi solo a intaccare quel serbatoio di aspettative che ha portato un gruppo dirigente al timone e tutto questo senza apportare nessun vantaggio al sodalizio con i propri elettori veri, momentanei o potenziali.

Anche perché, le situazioni che chiamano alla coesione rimangono sempre sostanzialmente bipolari: da una parte l’entusiasmo verso le opportunità e dall’altro il timore verso le avversità. Viene quindi il sospetto che sia meglio rinunciare, platealmente, a presidiare qualche obiettivo per meglio rafforzarne altri o metterne sono tutela di nuovi.

Tutto smaccatamente già ascoltato? Pensieri che apparirebbero usurati anche a Chance il giardiniere? Possibile, ma il vantaggio di rappresentare una novità regala proprio questa opportunità: offrire modi di agire imprevisti e imprevedibili, che consentono di scambiare lo stordimento che segue a intuizioni inattese con la disponibilità e curiosità ad attendersi che a volti, esperienze e promesse nuove corrispondano anche soluzioni inesplorate.