Chi è il pubblico? Cosa cerca in un’esperienza culturale? Prima di ‘fare’ è importante ‘conoscere’. L’esempio del teatro milanese insegna come si può crescere
CONVERGENZA – Prima Comunicazione, Febbraio 2023
ITsART, presentato come il ‘Netflix della cultura’, con un investimento di 15 milioni di euro, al primo esercizio ha perso 7,5 milioni. Il progetto, che sosteneva l’offerta di arte e cultura in streaming (guadagnando non più di 400mila euro in abbonamenti), era stato promosso dall’ex ministro della Cultura Dario Franceschini. Adesso è stato chiuso dal nuovo ministro della destra al governo: Gennaro Sangiuliano. Ma non si tratta di una questione di destra o sinistra. È, invece, un ultimo segnale del fatto che il rapporto fra la grande ipotetica strategia di un Paese che detiene oltre un terzo dei giacimenti d’arte del pianeta, e che nell’economia della cultura dovrebbe fondare l’asset del proprio sviluppo, è quasi sempre fallimentare. Forti del fatto che in pieno Covid emergeva il dato (vedi indagine Makno commissionata dal centro studi Grande Milano, febbraio 2021) che per l’82% dell’opinione pubblica il mezzo per uscire dalla depressione economica e psicologica era la cultura, tutti – istituzioni ma anche imprese e privati – si sono buttati su questo territorio indefinito, con politiche retoriche e provincialistiche. In questo passaggio, è emerso uno dei buchi strutturali del sistema società/cultura. Ossia che poco o niente si conosce del pubblico che ‘consuma’ cultura. È di fatto oscura la dinamica di relazione fra un consumo culturale, per esempio di un museo, e quello di un altro ‘consumo’, come magari un concerto. Questo grande buco spiega insuccessi come ITsART, non solo dal punto di vista dell’esito ma anche nel modo in cui è stata concepita. In tale quadro, dove un’area di consumo tanto complessa viene affrontata da un marketing primitivo – senza il supporto di ricerche approfondite sul pubblico, le motivazioni e il sistema delle relazioni in gioco – appare quasi grottesco parlare di politiche che dovrebbero sostenere anche economicamente le varie componenti del sistema cultura. Guardiamo per esempio al rapporto fra sviluppo del turismo e dei consumi culturali. Certo, molti turisti che vengono in Italia frequentano luoghi d’arte o di cultura. Ma chi sono, perché e come scelgono, a quali condizioni potrebbero tornare: questo nessuno lo conosce. Chissà, magari lo si fa inconsciamente, per evitare brutte sorprese. È il caso per esempio di Milano, che ama rappresentarsi come città delle attrazioni e dei luoghi della cultura. In effetti è così: qui la cultura diventa luogo fisico, spazio spesso bello e innovativo, come in molte metropoli, che attrae il pubblico. E spesso è in questa relazione fra uno spazio-contenitore e una cultura-contenuto che si costruisce l’attrattività. Talmente forte da diventare di moda. Qui c’è l’esempio storico della Triennale, dove il 60-70% dei frequentatori conosce le mostre e tutti conoscono il caffè. Oppure del Mudec, dove si va per genericamente ‘vedere’. O del recente museo d’arte nel palazzo della Fondazione Rovati. Bello, meraviglioso, emozionante. Salvo poi scoprire che fra i numerosi visitatori almeno il 30% non aveva visitato il museo: semplicemente è entrato lì perché è ‘trendy’. Cos’è cultura, dunque? Una grande ombra che nasconde emozioni e suggestioni, e anche (sopratutto) finzioni. Prima di fare, quindi, è meglio conoscere.
Superficialmente, il problema del ‘conoscere’ è avvertito da molti player decisori, sia pubblici sia privati. Chi invece se lo pone in modo urgente e approfondito sono le istituzioni più complesse, che vivono anche come mercato competitivo il rapporto fra fare cultura e fare impresa. Il caso d’avanguardia è quello del Teatro alla Scala che da anni sviluppa un vero e proprio osservatorio sui tanti pubblici che lo frequentano (gli abbonati, i turisti, i giovani, gli occasionali), individuando le correlazioni fra il rapporto dell’esperienza con il mito Scala e comportamenti, scelte di consumo, attività di tempo libero. Costruendo anche tecnologie avanzate che legano e rappresentano queste tendenze. Non si tratta solo di raccogliere nel tempo migliaia di interviste, di raccordare i flussi di ingaggio dei diversi pubblici, l’andamento di soddisfazione verso gli spettacoli della Scala e gli effetti sugli attori delle sponsorizzazioni. Si tratta anche di capire in quale contesto sociale e culturale si muove questa relazione fra il pubblico e un mito grande e complesso, così da ottenere informazioni integrate per affrontare e prevedere il futuro. Questo ha permesso alla Scala di affrontare brillantemente la crisi del Covid e dei lockdown, facendo evolvere la programmazione nell’allargamento dei generi, nella formulazione dei linguaggi, nelle modalità d’uso della tecnologia e nelle modalità di gestione degli spazi. Qui sì che il conoscere attraverso metodologie di ricerche innovative ha portato al ‘fare’ e a costruire in un momento di crisi innovazioni che dureranno per sempre.