Se l’influencer non ha più l’influenza

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Secondo una ricerca Emplifi, il livello di fiducia nei loro confronti è in caduta in molti Paesi.
Forse è il momento di inventare qualcosa di nuovo

CONVERGENZA – Prima Comunicazione, Marzo 2023

In un servizio recente di Pop economy (canale d’economia per un target giovane 18-35 anni, sul canale 512 di Sky) dedicato al rapporto fra comunicazione e influencer, venivano ripresi i dati di una ricerca della società americana Emplifi (una piattaforma specializzata nell’analisi dei canali e processi di comunicazione digitali per il marketing e la pubblicità: ndr), secondo cui il livello di fiducia nei confronti degli influencer nella pubblicità è in caduta in molti Paesi. E veniva citato il caso della Gran Bretagna per cui la sfiducia era del 53%; pochi anni fa non superava il 30%. E questo dato era generale: se andiamo nel segmento più giovane, e più social, si arriva a oltre il 70%.

Niente di sorprendente per chi ha a che fare, soprattutto per motivi di insegnamento nelle scuole e nelle università, con i giovani. Il gioco si sta chiudendo e i giovani vedono bene il falso e l’incompetente che c’è nel mondo degli influencer. E gli stessi giovani, quelli dell’ultima generazione 18-24 anni, percepiscono e razionalizzano il disvalore che c’è in questa figura e in questa modalità comunicativa. I giovani sentono drammaticamente il periodo di incertezza e di paura che li circonda, chiedono quasi disperatamente strumenti di analisi critica (a cominciare dalla storia), detestano le varie forme di semplificazione spettacolare, a cominciare da quella propagata dai soliti mass media, quotidiani in testa, che per altro non seguono e che sono sostituiti da selezioni dell’informazione auto organizzate, stabilite nella Rete. Altro che influencer, per i giovani lo stupido che diventa ‘categoria di pensiero’ e che è l’esatto contrario di ciò che oggi si comincia a odiare: qualcuno che si sostituisce a me per dirmi quello che devo essere, mentre quello di cui ho bisogno è una strumentazione critica per rafforzare la ‘mia’ personalità.

In questo quadro la deriva dei centri media e degli stessi mass media generalisti, che continuano a parlare di un valore strategico degli influencer, appare francamente grottesca e indicativa del rapporto con un mondo, quello reale, che è estraneo a quello falsificato e autoreferenziale che è raccontato dai media stessi.
Ma anche guardando il fenomeno da un punto di vista strettamente tecnico e prendendo il solito esempio della Ferragni, la sua performance a Sanremo è l’indicatore più evidente della crisi sistemica del ruolo degli influencer. Una ‘influencer’ sceglie di cambiare canale, va su una rete generalista, deve cambiare ruolo e contenuti, estende l’area del suo intervento e della sua ‘non competenza’ rendendosi fragile e poco credibile su un pubblico che non è il suo. Effetto finale: valanga di insulti dai suoi follower, messa in discussione del suo ruolo e della sua capacità critica. Indebolimento quindi del suo ruolo di influencer… nel momento in cui questa figura vuole estendere e utilizzare il suo potere, questa stessa figura si indebolisce e rischia di sparire.

Al di là della ignorantocrazia imperante, questa contraddittorietà sistemica dovrebbe far riflettere soprattutto le imprese che in parte guardano gli influencer come grande possibile risorsa. Perché questo buco di consenso che si sta creando suggerisce il fatto che questo è il momento di inventare qualcosa di nuovo, di uscire dagli schemi della conservazione e di provare a tornare a quella sperimentazione creativa e culturale che ha fatto della cultura industriale la sorgente creativa nella comunicazione pubblicitaria e sociale degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, fino agli anni Ottanta.

L’opportunità sociale è simmetrica: allora c’era un mondo che pensava al futuro, ora c’è un mondo che deve salvarsi dal presente e costruire un possibile futuro. Con la chiusura della sottocultura degli influencer si può pensare a qualcosa di nuovo per l’esperienza critica dei cittadini che sono anche consumatori. Un ruolo importante per le imprese, un ruolo di potere anche formativo, sicuramente culturale, che corrisponde a un bisogno sociale profondo a cominciare dai giovani: quello di contrastare e sostituire l’ignorantocrazia della regressione e del rischio per la sopravvivenza stessa della nostra civiltà e del nostro sapere.