Folla di cronisti sul red carpet di Montecitorio per strappare le parole chiave ai divi del momento e nessuno di loro che si sottragga alla ghiotta occasione di comparire in tv e di trovar posto sulle prime pagine dei giornali. Ed ecco che primeggia Conte con un “no, sì, no” dei 5 stelle, poi un Calenda terzo polo più che possibilista e una Schlein che, secca, annuncia che “sarebbe più che doveroso parlare invece di precarietà e di salari”. Con passerella finale della Meloni che non si fila i giornalisti perché “il silenzio è d’oro” in simili occasioni. Questo per dire che per ora, in tema di riforme, non è deciso un accidente, anche se il “rito” degli incontri, ci mancherebbe, continuerà. Morale della favola: tutto fa pensare che, come già accaduto altre volte, il problema di riformare le nostre istituzioni finirà prima sul tavolo e poi nei cassetti di qualche sonnacchiosa Commissione parlamentare. A meno che la premier, come già fece Renzi, non faccia di testa sua creando in Parlamento l’ennesimo e forse inconcludente polverone.
Eppure sono almeno tre i motivi che dovrebbero convincere il Parlamento a darsi subito una sveglia. Il primo è che un paese non può più andare avanti con governi che tirano le cuoia dopo pochi mesi senza avere il tempo necessario per riformare o addirittura cambiare apparati dello Stato che hanno ormai l’età di matusalemme. Il secondo è che il paese si deve dotare di leggi che consentano agli elettori di mandare, in gran numero, in Parlamento gente competente e adatta al ruolo che dovrebbe svolgere. La terza è che un numero sempre crescente di italiani non va ormai più a votare proprio perché deluso e sconfortato per la ormai più che manifesta incapacità dei suoi governanti di mettere mano a leggi e riforme – dalla creazione di asili nido al varo del salario minimo garantito – che consentirebbero al nostro paese di guardare al futuro con maggiore tranquillità.
E non ci si venga a dire – qualcuno ieri al summit ci ha provato – che non è possibile risolvere i problemi del quotidiano e, nel contempo, mettere mano a riforme costituzionali. Basta che lo si voglia e governo e Parlamento avrebbero oggi tutti i mezzi, il tempo, i soldi e anche i poteri per fare entrambe le cose nel modo più rapido e costruttivo possibile. E sarebbe proprio questa ritrovata efficienza, a 360 gradi, sia della politica che di tutte le più importanti Istituzioni, a dare finalmente carica e anche voglia di partecipazione ai tanti, troppi elettori che ormai da anni lasciano la scheda elettorale nel cassetto convinti che il loro voto non conti più niente.