Polemiche per l’ex terrorista nero Fioravanti su L’Unità. Sansonetti: continuerà a scrivere

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L’Unità da poco riportato in edicola e in Rete dall’editore Alfredo Romeo (che peraltro ha appena licenziato non senza polemiche la giornalista Angela Azzaro) ospita un articolo di Valerio Fioravanti, ex terrorista nero dei Nar condannato in via definitiva per la strage alla stazione di Bologna. E sul direttore Piero Sansonetti piovono critiche feroci sui social e da parte dei familiari delle vittime.

“Siamo schifati”, ha dichiarato al ilfattoquotidiano.it Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime di Bologna. Durissimo anche Federico Sinicato, avvocato dei familiari delle vittime della strage di piazza Fontana a Milano e piazza della Loggia a Brescia: “Tutti i detenuti e i condannati hanno diritto ad avere una progettualità di vita, secondo i principi costituzionali. Tuttavia questo non significa che tutti possano fare tutto. Ci sono anche la dignità e i diritti delle vittime che vanno difese. Offrire spazi mediatici a una persona che si è macchiata del reato di strage non è accettabile”.

Sansonetti non si scompone e nell’editoriale – qui di seguito – risponde che per “mille ragioni” se capitasse l’occasione chiederà ancora a Fioravanti di scrivere per L’Unità. 

L’editoriale di Sansonetti

Mi dicono che sui social sia scoppiata una polemica per il fatto che l’Unità ospita articoli di Valerio Fioravanti. Non l’ho seguita bene perché non sono molto attivo sui social. Tanto più ora che per motivi misteriosi Twitter mi ha espulso. Però ho capito la sostanza della contestazione: Valerio Fioravanti è stato un terrorista fascista. Non solo un terrorista e non solo un fascista. Le due cose insieme, e questa sarebbe la cosa insopportabile.

Terrorista e fascista sono le due parole proibite. Sono l’espressione del male, dell’infamia, dell’abominio. Nel conformismo dilagante è così. E la cosa straordinaria è che oggi questo conformismo è molto più diffuso di quanto non lo fosse negli anni di fuoco, negli Ottanta, nei Novanta, quando la violenza dominava la politica e il paese. Allora mi limito a poche osservazioni. Prima di tutto vi dico che Fioravanti ha scritto in queste settimane sulla pagina che abbiamo appaltato a “Nessuno Tocchi Caino”. Sapete chi è Caino? Beh, questo ve lo spiego un’altra volta. Posso dirvi che sono molto, molto orgoglioso di ospitare sull’Unità il lavoro di Nessuno Tocchi Caino così come fino a un paio di mesi fa l’ho ospitato – con molti articoli di Fioravanti – sul Riformista.

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Poi vi dico che nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, se si presenterà l’occasione, chiederò a Fioravanti di scrivere anche sull’Unità. Perché? Per un milione di ragioni. Vi dico le più semplici. Perché Fioravanti è Caino. Perché Fioravanti è una persona. Perché Fioravanti è un essere umano. Perché Fioravanti ha una biografia. Perché Fioravanti è sapiente. Perché non trovo non dico una ragione, ma nemmeno un centesimo di millesimo di ragione per immaginare di dovere esercitare una censura nei confronti di Fioravanti. E infine perché ho sempre apprezzato quel brano della Bibbia che ci racconta di quando Dio si schierò a protezione di Caino.

Infine vorrei citare alcuni episodi. 1981, mese di luglio, nel carcere di Rebibbia un gruppo di detenuti dà vita a uno spettacolo teatrale. L’Antigone. Tra i protagonisti Salvatore Buzzi, che è lì dentro per avere ucciso con 34 coltellate un collega. Tra gli spettatori ci sono Pietro Ingrao, Stefano Rodotà, don Di Liegro (che ha organizzato lo spettacolo) Oscar Luigi Scalfaro. Eravamo in quella fase della nostra vita nella quale ovunque si sparava. C’erano più di 2000 omicidi all’anno (oggi sono meno di 300), impazzava la lotta armata e la mafia uccideva quasi tutti i giorni. Ingrao andò lì, e strinse la mano a Buzzi. Con grande naturalezza.

C’è un altro episodio, raccontato giorni fa sul Dubbio dal mio amico Damiano Aliprandi. È una lettera scritta da Tina Anselmi – partigiana, combattente, politica incorruttibile – al ministro Silvio Gava, suo compagno di partito, a favore di Giovanni Ventura. Il quale era accusato, insieme a Franco Freda, di avere eseguito l’attentato che provocò la strage di Piazza Fontana. Ma vi voglio anche raccontare di Fioravanti e di Francesca Mambro e l’Unità. Ero condirettore del giornale, nei primi anni Novanta, e il direttore era Walter Veltroni. Beh, fu proprio Walter a decidere di pubblicare un articolo di Valerio Fioravanti e di Francesca Mambro sulla prima pagina dell’Unità.

Tralascio, ovviamente, le cose che disse Marco Pannella di Fioravanti e della Mambro, perché sono più ovvie per chiunque abbia conosciuto o solo sentito parlare di Pannella e della sua cristallinità leggendaria. Ora io faccio solo due osservazioni, in forma di domande. La prima è questa: possibile che ci siano larghi settori di sinistra che oggi, nel 2023, siano così arretrati, in termini di civiltà, rispetto ai dirigenti del Pci degli anni Ottanta e Novanta? Possibile che dobbiamo pensare a Ingrao o a Veltroni come “marziani”, come personaggi del futuro remoto?

La seconda domanda parte da una constatazione. Il patrimonio di conoscenza di Valerio sul sistema della giustizia e sul sistema carcerario americano è altissima. Lui è una fonte straordinaria di conoscenze. E secondo voi sarebbe un gesto intelligente – o magari qualcuno pensa che sarebbe un gesto antifascista – cancellare queste conoscenze per mettere la mordacchia a Fioravanti? Sulla base di che cosa? Di un’idea di etica? Vi prego: spiegatemi su cosa si basa questa etica.