I gestori delle concessioni sono la lobby più potente del Paese. I governi li temono, ma senza motivi evidenti. Un giro d’affari di 2 miliardi che rende allo Stato solo il 5%
LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Aprile 2023
Se vi state chiedendo quale sia statisticamente la lobby più potente d’Italia, non perdete tempo a inseguire il fantasma di vecchi e nuovi poteri forti. Basta guardare molto più vicino, pensando alle spiagge che stiamo per affollare: i numeri dimostrano che non c’è nulla di più forte ed efficace, in Italia, della lobby dei gestori delle concessioni balneari.
Evitare le gare, fuggire da ogni rischio di mercato, puntare tutto sulle proroghe: è il mantra dei balneari, che dall’alto delle loro rendite di posizione possono guardare con tenerezza a liberisti e mercatisti nostrani. Sapendo che da ben 15 anni ogni governo in carica, di qualsiasi colore esso sia, ripete lo stesso identico comportamento. Fingendo di ignorare le due condanne europee all’Italia per concessioni marittime balneari senza gare e la posizione molto dura della Commissione Europea, che considera l’Italia un caso unico in Europa: in tutti gli altri Paesi le concessioni vengono messe a gara o, nel caso peggiore, almeno le tariffe vengono aggiornate ogni anno. La recentissima sentenza della Corte di giustizia europea, secondo cui “le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente”, dovrebbe imporre al legislatore italiano una reazione di qualche tipo. Vedremo.
Le concessioni balneari nel nostro Paese sono in tutto 26.689, ma di queste ben 21.581 (circa il 70%) ha un valore inferiore ai 2.500 euro all’anno, pari a 200 euro al mese. Con l’aggiunta di una segnalazione che arriva direttamente dall’Agenzia delle entrate: due gestori su tre non dichiarano al fisco i loro incassi reali.
A fronte di un giro d’affari ufficiale di oltre 2 miliardi di euro degli stabilimenti balneari, lo Stato incassa canoni per poco più di 103 milioni di euro: il 5% circa. Un esempio concreto è stato confessato da Flavio Briatore: per lo stabilimento balneare più costoso ed esclusivo d’Italia, il Twiga di Marina di Pietrasanta che applica ai suoi clienti tariffe da 300 a 1.000 euro al giorno, il brillante imprenditore paga allo Stato la miseria di un canone annuo di 17.169 euro. Molto, ma molto meno dell’incasso di una sola giornata di lavoro. Briatore stesso ha dichiarato, con onestà intellettuale, che nel suo caso un canone equo da versare non può essere inferiore ai 100mila euro.
Rispetto alle concessioni balneari, la Ragioneria generale dello Stato denuncia il “non ottimale utilizzo di beni pubblici”, il “mancato rispetto dell’interesse generale” e l’evidente distorsione della concorrenza e del mercato. La scelta di prorogare sempre e indistintamente tutte le concessioni, peraltro, porta con sé l’ulteriore svantaggio di non consentire allo Stato di distinguere situazioni molto differenti tra di loro, come le piccole attività familiari da una parte e i gestori di concessioni plurime in zone di pregio dall’altra. Molto dura anche la posizione della Commissione europea, che considera l’Italia un caso unico in Europa: in tutti gli altri Paesi le concessioni vengono messe a gara o, nel caso peggiore, almeno le tariffe vengono aggiornate ogni anno.
Di fronte a questo regalo sfacciato, insensato e reiterato, il cittadino-consumatore è doppiamente beffato. La prima volta, perché questo regalo è fatto con i suoi denari (senza che nessuno l’abbia interpellato in merito): tutto ciò significa meno incassi per lo Stato e si traduce in maggiori tasse o minori servizi. La seconda beffa si materializza quando paghiamo il conto della giornata in spiaggia, dove un semplice lettino non costa meno di 10-15 euro e può arrivare fino a 40-50 euro al giorno. Più il costo di eventuali gelati, bibite e caffè, o pasti da consumare guardando il mare.
Ma da cosa deriva la forza politica della lobby dei balneari? È un autentico mistero. Difficile pensare che possano muovere più voti o costruire maggior consenso di mille altre lobby, che non hanno la fortuna di ottenere gli stessi vantaggi dallo Stato. Difficile pensare che una loro rivolta possa generare disagi così rilevanti alla collettività o l’interruzione di un servizio pubblico. Eppure, da almeno 15 anni i vincitori della ‘coppa dei campioni’ del lobbying sono loro. E oggi non c’è nulla che faccia pensare che possano perdere il loro primato.