Il #metoo dell’adv, We Are Social si scusa. E promette trasparenza

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Estate pubblicitaria scandita dallo ‘scandalo’ sulle molestie, il sessismo ed il burn out nelle agenzie. Il riassunto della querelle e le dichiarazioni di Gabriele Cucinella, uno dei tre fondatori di We Are Social. L’agenzia – chiamata in causa per una chat inappropriata del 2016 – considerati i nuovi elementi emersi, ha fatto partire una nuova indagine su quanto accadde.

Dire che siamo alle battute iniziali di un ‘me-too’ dell’adv nazionale non è probabilmente esagerato. E’ indubbio che la questione ‘molestie nell’advertising’ è quella che per adesso più sta infervorando le discussioni e le polemiche tra quadri e vertici delle agenzie di pubblicità, tra la curiosa attenzione degli utenti. Più dei premi assegnati dal Festival della Creatività di Cannes attualmente in corso sulla Croisette. E con la platea interessata alla querelle che sta man a mano allargandosi.   

Predicare bene e razzolare male

La storia è spinosa e delicata. Perchè racconta di atteggiamenti e dinamiche sessiste nel ‘dorato’ (?) mondo dell’adv. Di personaggi deprecabili o presunti tali che riescono a rimanere impuniti. Di persone ‘distrutte’, che non hanno la forza di denunciare i soprusi subiti, se non anonimamente sui social.

Una situazione della stessa gravità di quella di altri settori del nostro scenario della cultura e dei media (tv e cinema), che dopo l’esplosione in Usa del movimento #me-too si sono trovati ‘esposti’ e fragili su questo aspetto critico.

La pubblicità rischia forse ancora di più, perchè ha un problema di coerenza tra quello che fa e quello che dice. I messaggi di commercial e spot, infatti, puntano sempre di più sul cosiddetto ‘purpose’. E quindi su valori, etica, principi, attenzione alla diversity e all’inclusione.

E’ su questi argomenti che le agenzie di questi tempi mobilitano la sensibilità e i comportamenti dei propri clienti. E suona così come paradossale che nella routine di tutti i giorni si possano avere comportamenti scorretti verso le proprie persone e talenti.

La vicenda è esplosa sulla stampa nazionale

Hanno dedicato spazio alla vicenda anche il Corriere della Sera, Repubblica e Il Fatto. Da alcune ore, sui grandi giornali sono arrivati i riverberi ufficiali di polemiche, accuse, tensioni che per giorni erano state di attualità soprattutto online, su siti e pagine social destinati agli addetti ai lavori. E ora hanno annunciato verifiche puntuali e approfondimenti sul tema le varie associazioni rappresentative: Ferpi, UNA, Adci.

Alle origini della crisi

In origine la vicenda, in sintesi, è stata innescata da un’intervista ad un blog dell’ex presidente Adci (in carica per due mandati), Massimo Guastini. Che ha ancora fatto pesantissime accuse ad un suo collega blasonato, a distanza di alcuni anni da una prima querelle diretta e senza filtri con lo stesso soggetto.

Massimo Guastini

Per esemplificare il clima sessista in cui – secondo lui – si lavora anche attualmente in molte agenzie di pubblicità, Guastini ha poi pure citato una vecchia chat dell’agenzia We Are Social, piena ai tempi (nel suo racconto e ora anche nelle testimonianze social) di contenuti inaccettabilmente aggressivi e spinti.

L’espulsione (di pochi giorni fa) del creativo ‘incriminato’ dall’Adci (l’Art Director Club Italiano, che associa i creativi) e poi l’escalation della vicenda sui media tradizionali sono stati i passaggi successivi.

Uno dei tre fondatori dell’agenzia We Are Social, Gabriele Cucinella (attualmente regional lead Eu Area della struttura) il network che era entrato nel racconto di Guastini per la citata ‘chat degli 80’, ha risposto su Facebook all’ex capo di Adci. Ma poi ha voluto raccontare a Prima Comunicazione, assieme al capo delle risorse umane dell’agenzia, Giuliana Piana Caramella, la sua versione dei fatti.

Gabriele Cucinella

Cucinella, We Are Social. “Condanniamo quanto accaduto, un ente terzo rifarà le indagini”

Prima Comunicazione – Qual è la vostra posizione sulla querelle sulle molestie sessuali nelle agenzie? In che cosa consisteva la vostra ‘chat degli 80’, bacchettata sui social e ora anche sui grandi giornali?

Gabriele Cucinella – Vorrei cominciare dalla nostra ricostruzione dei fatti e da una contestualizzazione. Va rimarcato che siamo chiamati in causa per qualcosa accaduto sette anni fa. Che esistesse dal 2016 una ‘chat degli ottanta’ sulla piattaforma Skype che certamente aveva contenuto inaccettabili commenti sessisti noi l’abbiamo scoperto nel 2017, quando è stata chiusa. L’azienda ha sempre ritenuto che questa iniziativa fosse stata ignobile e vergognosa e l’abbiamo subito condannata. Abbiamo anche  fatto un controllo interno, ma sui nostri sistemi non avevamo la possibilità di identificare alcun contenuto, perché la chat Skype non era utilizzata ufficialmente dall’azienda. Era stata creata da dei singoli, nessuno di noi tre fondatori dell’agenzia era presente al suo interno e non abbiamo avuto alcuna possibilità di risalire ai contenuti. Non disponiamo ancora oggi di alcun messaggio, post, screen shot di quella chat. Comunque, visti i nuovi elementi emersi ribadiamo che consideriamo inaccettabile l’accaduto. Abbiamo appena deciso di intraprendere nuove azioni e abbiamo incaricato un ente terzo di rifare le indagini.

Prima –Anche se l’avete fermata, le decine di persone che partecipavano alla chat raccontano comunque un clima, una maniera di vivere le dinamiche lavorative a diri poco velenoso. Non erano solo cinque o sei persone ad essere coinvolte…

Cucinella- Personalmente penso che sarebbe stato ugualmente grave anche se i partecipanti fossero stati pochissimi. Condanniamo quanto accaduto a prescindere dal numero dei partecipanti alla chat.

Ma quanto avvenuto non aveva alcun rapporto con lo stile e la modalità di vivere la nostra struttura. Non era il sintomo di un clima generale nel 2016 e nel 2017. Mi conforta, da questo punto di vista, il fatto che stiamo ricevendo tanti messaggi di solidarietà da ex dipendenti.

Prima- Avete licenziato o ‘ammonito’ qualcuno dei ‘colpevoli’, ai tempi?

Cucinella- Chi ci fosse dentro non lo sapevamo. Avremmo forse potuto indagare di più, ma senza possibilità di accedere alla chat abbiamo ritenuto di procedere diversamente, cioè con azioni proattive di sensibilizzazione.

Giuliana Piana Caramella: Siamo consapevoli del fatto che su temi così critici qualsiasi azione rischi di non essere mai percepita come esaustiva. Ma si può molto migliorare e continuare a farlo. Quello che posso dire senza temere di essere smentita è che il clima aziendale di We Are Social è sano. L’attenzione per le proprie persone è un fatto reale, un aspetto imprescindibile del dna dell’agenzia. E abbiamo implementato da tempo delle pratiche strutturate per raccogliere i segnali in tutta trasparenza e senza timori di un eventuale disagio tra chi lavora in agenzia.

Due ricerche interne annuali e indipendenti monitorano proprio questo aspetto. Ci sono degli items specifici, definiti proprio per misurare il ‘clima’. Ma anche delle domande aperte, per lasciare la possibilità di esprimersi in maniera più generale. E per mettere noi delle risorse umane nelle condizioni di creare degli ‘action plan’ mirati a risolvere i problemi emergenti dei dipendenti.

Abbiamo al nostro interno un organo dedicato specificamente alla diversity & inclusion ed è molto propositivo e attivo con dati e statistiche anonime. Abbiamo uno sportello psicologico. Abbiamo fatto dei training specifici, con partner esterni qualificati, per spiegare bene il codice etico che tutti firmano al momento dell’assunzione.

Giuliana Piana Caramella

Prima- Pensate sia stato doveroso uscire allo scoperto? 

Cucinella- Siamo intervenuti nella vicenda noi direttamente, per esigenza di trasparenza. Ho risposto su FB al post di Guastini che chiamava in causa genericamente l’agenzia della chat degli 80. Volevo chiarire la nostra posizione e dimostrare la nostra totale apertura al confronto su un tema così cruciale. La mia risposta su FB a Guastini non voleva giustificare certo le problematiche della chat. Sicuri delle nostre azioni ci siamo impegnati a chiarire. Non abbiamo mai pensato di nasconderci ed è per questo che abbiamo accettato di rispondere a Prima.

Prima- E’ indubbio che la vicenda vi procuri danni di reputazione.

Cucinella – Certi commenti e certe testimonianze sono per noi dolorosi. Siamo profondamente rammaricati perché da quando siamo nati abbiamo sempre pensato che l’agenzia dovesse essere un posto di lavoro sereno, dove le persone si trovassero bene e fossero libere di esprimersi, puntando sulla trasparenza sotto tutti i punti di vista.

Questi valori rimangono al centro del nostro modo d’intendere la sfera privata e professionale. Ma stiamo pure valutando quali iniziative intraprendere a difesa dell’agenzia e delle duecento famiglie che hanno un destino collegato ad essa.

Prima- Che vi dicono i clienti?

Cucinella – Stiamo raccontando la situazione e tenendo aggiornati tutti minuto per minuto sugli sviluppi, in totale sincerità. E’ evidente che si tratta di una vicenda in divenire, che ci obbliga di continuo a reagire a domande e situazioni non sempre prevedibili. La gestione del rapporto con i clienti in questa fase è uno dei nostri focus.

Prima- Una, Ferpi, Adci sono scese in campo con documenti, convocazione di consigli straordinari, dichiarazioni. C’è un problema culturale – legato alla storia e al vissuto del settore – che rimane critico, come molte “denunce” social lasciano intendere?

Cucinella – Certamente c’è un tema di cambiamento profondo, sul quale tutto il settore deve lavorare per crescere in sensibilità e stile di comportamenti. Come in altri comparti, dobbiamo sforzarci per fare tutti assieme un bel passo avanti culturale.

Giuliana Piana Caramella – Dal mese di aprile, da prima che nascesse il caso, stiamo lavorando ad un audit che ci porti alla certificazione di genere. Un percorso di evoluzione che abbiamo intrapreso coerentemente con altri sforzi e impegni che vanno sempre nella direzione della salvaguardia delle nostre persone.

Prima – In sintesi, cosa vuole comunicare alle persone toccate da questa vicenda …

Cucinella – Vorrei ribadire la mia solidarietà a chi si è sentito offeso e scusarmi. Lo faccio anche a nome di Ottavio Nava e Stefano Maggi, che con me sono stati i pionieri di We Are Social e continuano a guidarla. Assicurando a tutti che stiamo rafforzando l’impegno nelle attività volte a rendere il nostro ambiente sempre più inclusivo e fare sì che questi episodi non accadano più.