Non sottovalutiamo lo shock demografico

Condividi

L’importanza della questione natalità è fortemente condivisa anche dagli imprenditori. Il problema della mancanza di manodopera e di profili professioniali qualificati

LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Maggio-Giugno 2023

Tra le (numerose) patologie italiane c’è sicuramente la tendenza a considerare la politica ‘onnipotente’. Come se avesse una bacchetta magica, applicabile comunque e dovunque. Una classe dirigente e un’opinione pubblica ‘mature’, al contrario, dovrebbero distinguere ciò che la politica dovrebbe fare da ciò che molto più efficacemente potrebbe essere realizzato dai protagonisti dell’economia e della società. Un esempio clamoroso riguarda, a mio avviso, la battaglia contro lo shock demografico che affligge oggi il nostro Paese.

“La natalità è il primo punto del nostro programma perché se non torniamo”, come dice il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, a produrre Pil demografico, l’Italia è destinata a scomparire”, ha dichiarato Giorgia Meloni ad Avvenire. Al primo premier donna del nostro Paese va riconosciuto il merito di aver inserito con convinzione nell’agenda di Palazzo Chigi la questione demografica, per decenni dimenticata dall’intera classe politica e derubricata a tema ‘ideologico’. Oggi l’importanza e l’urgenza della questione è fortemente condivisa dagli imprenditori, che ne toccano con mano i primi nefasti effetti: sul piano della ricerca della manodopera e dei profili professionali qualificati, l’emergenza è evidente per carenza sia di competenze sia di lavoratori disponibili.

In questo senso mi ha colpito un episodio recente. Nei primi giorni di febbraio 2023 si è riunita nella casa simbolica di Confindustria Bergamo, il Kilometro Rosso di Brembo, il Club dei 15: pochi all’esterno di Confindustria lo conoscono, ma è l’associazione che da quasi 20 anni riunisce presidenti e direttori delle Unioni industriali delle 15 province italiane più industrializzate. In un consesso dedicato abitualmente ai temi della competitività e dell’innovazione, a sorpresa la presidente di Confindustria Bergamo Giovanna Ricuperati ha denunciato la “situazione drammatica” della mancanza di personale “sia in termini di numeri, sia in termini di competenze”.

Iniziata circa 20 anni fa, la denatalità italiana si aggrava anno per anno. Senza che si intravveda alcuna inversione di tendenza: mettere al mondo figli oggi in Italia è percepito come atto solitario, quasi ‘eroico’. Al contrario, per favorire la natalità servirebbe una comunità ‘accogliente’ nei confronti dei nuovi arrivati che consideri la presenza dei bambini un vantaggio per l’intero sistema. Ma può essere delegata esclusivamente alla politica la soluzione di una questione così complessa, che investe gli assetti economici e sociali e le scelte di vita di tutti noi? Evidentemente no. Anzi, sono convinto che la promozione della natalità possa diventare la più importante forma di innovazione del ruolo delle parti sociali.

Nell’ambito del welfare aziendale, in particolare, esiste la possibilità di potenziare fortemente servizi, benefit e supporti economici a beneficio delle neo madri lavoratrici (e dei neo padri) e di migliorare le condizioni vigenti durante la gravidanza e nel periodo successivo. Molto importante è ad esempio la diffusione degli asili nido aziendali, da aprire alle comunità dei territori in cui operano le aziende per evitare ‘élite’ e ‘ghetti’. Altrettanto importante è definire protocolli antidiscriminazione nei confronti delle donne che scelgono la maternità. Un modello interessante che si muove in questa direzione è quello di Enel. A febbraio di quest’anno azienda e sindacati hanno raggiunto un accordo che prevede il raddoppio per i papà del periodo del congedo retribuito rispetto alla previsione di legge, il rafforzamento delle indennità previste dalla legge per i periodi di congedo parentale fino al sesto anno del bambino, l’estensione dei giorni di permesso per malattia dei figli. Ma la misura più innovativa è a mio avviso il sostegno a carico dell’azienda per l’iscrizione alla previdenza complementare dei figli entro i primi tre anni di vita.

Oggi le organizzazioni rappresentative di imprese e lavoratori potrebbero diventare protagoniste della grande battaglia per la crescita della natalità in Italia. Anche grazie alla pressione degli stessi cittadini lavoratori, che potrebbero smettere di chiedere alla politica ciò che si potrebbe fare (più efficacemente) nei luoghi di lavoro.