Robotica e IA stravolgeranno nei prossimi anni il set di lavori disponibili: ci saranno meno lavori da fare, ma aumenterà la qualità media degli stessi. L’importanza della formazione
LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Luglio-Agosto 2023
Se la sostenibilità è oggi il paradigma di riferimento dello sviluppo globale, ha senso immaginare e costruire anche un modello di ‘lavoro sostenibile’? Sicuramente sì, anche se troppo poco se ne discute in Italia.
Il primo milestone in questa direzione è stato posto dall’Agenda 2030 delle Nazioni unite, all’interno della quale c’è un particolare Obiettivo di sviluppo sostenibile. Si tratta del numero 8, dal titolo ‘Lavoro dignitoso e crescita economica’, che si propone di “incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti”. Non è retorica, ma una missione complessa. Resa quanto mai attuale dalla rivoluzione in corso nel mondo del lavoro all’interno delle società occidentali, che sta rovesciando i paradigmi tradizionali e imponendo nuove regole d’ingaggio a imprese e lavoratori.
La combinazione tra robotica e intelligenza artificiale stravolgerà nei prossimi anni il set di lavori disponibili: distruggendo gradualmente gran parte delle attività manuali e parte di quelle intellettuali – solo a titolo di esempio, dalle funzioni di acquisto di beni e servizi delle aziende alle attività giornalistiche di desk – e generando nuove opportunità di lavoro, come è sempre stato finora in occasioni di salti tecnologici di questa profondità. Il saldo finale sarà negativo, ovvero ci sarà meno quantità di lavoro a disposizione, ma aumenterà la qualità media dei lavori disponibili. Non è detto tuttavia che i lavori incrocino i lavoratori: il fattore chiave per garantire un ‘lavoro sostenibile’ diventerà la formazione. Se non riusciremo a realizzare un programma di digitalizzazione di massa a favore di ragazzi che non hanno percorsi di studi brillanti, il rischio concreto è che nei prossimi anni si aggravi ulteriormente il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.
Il secondo terreno su cui si giocherà nei prossimi anni la grande partita del ‘lavoro sostenibile’ sarà la costruzione di un nuovo equilibrio tra vita e lavoro, come dimostra la scelta delle dimissioni volontarie compiuta in Italia da più di 2 milioni di lavoratori nel 2022. La generazione Z non considera più il lavoro come il sovrano assoluto delle nostre vite, e dopo la pandemia la stessa generazione dei Millennials cerca nuovi assetti in grado di tutelare maggiormente affetti e passioni fuori dal lavoro. Quanto siano preparate le aziende ad affrontare questa sfida lo dimostra la ‘grande ritirata’ delle imprese – in Italia e non solo – che nel corso dell’ultimo anno hanno abbandonato gran parte delle innovazioni organizzative del lavoro messe in campo durante la pandemia, a partire dallo smart working. Il ritorno a modelli classici di organizzazione del lavoro, basati sul principio del comand and control, non è decisamente un bel segnale.
Non a caso, formazione continua e conciliazione vita-lavoro sono gli elementi cardine del ‘Manifesto del lavoro sostenibile’ di Gi Group, la multinazionale italiana leader sul mercato delle agenzie private del lavoro. Nel Manifesto, la condizione fondamentale per realizzare un modello di ‘lavoro sostenibile’ è individuata nella capacità di “sviluppare la propria professionalità… durante tutta la vita in un’ottica di costante occupabilità, assicurando un adeguato equilibrio fra vita personale e lavorativa e soddisfazione per l’individuo e l’organizzazione”. Il valore del lavoro non risiede più nella durata e nella certezza del singolo posto di lavoro, come nell’accezione tradizionale, ma sta oggi nelle competenze di ogni individuo e nell’esistenza di un mercato capace di creare lavori di qualità media sempre più elevata. Il cambio di paradigma è al tempo stesso individuale e collettivo. E anche in questo caso, come dimostra la situazione dei Centri per l’impiego, non possiamo affermare che il sistema oggi sia pronto alla sfida.