Contributi, salario minimo, benefit, psicologo. I videogiocatori si impuntano per l’inquadramento professionale. Una causa sposata da Osservatorio Italiano Esports (Oies) con il supporto politico del Movimento 5 Stelle, che, sulla scorta della propria vocazione digitale, vede nel gaming una possibile breccia nel muro della disoccupazione.
Già a maggio 2023, Oies e M5S avevano aperto le porte della Camera a imprenditori e stakeholder degli sport digitali per introdurre le criticità normative e finanziarie che impediscono al settore di raggiungere i modelli di regolamentazione spagnolo, francese e britannico.
Gaming come fonte di occupazione
Martedì 10 ottobre si è tenuto il secondo appuntamento presso la Camera dei Deputati, dove alla presenza tra gli altri del fondatore di Oies Luigi Caputo, della capogruppo della Commissione Lavoro pubblico e privato Valentina Barzotti e del membro della Commissione Cultura, Scienze e Istruzione Antonio Caso, è stato presentato il primo rapporto sul tema.
“Il gaming è un settore in cui molti giovani hanno trovato lavoro in un Paese in cui la disoccupazione giovanile si attesta intorno al 23%”, ha dichiarato Barzotti. “Dato che colloca l’Italia tra i peggiori cinque Stati al mondo”.
Gli ultimi dati rilasciati da YouGov, riportano un bacino di 2.2 mln di utenti italiani, con una presenza crescente di videogiocatori con età superiore a 35 anni. A invocare il riconoscimento sportivo e professionale sono però quei giocatori che hanno all’attivo diversi (e proficui?) accordi di sponsorizzazione con società sportive, brand del lusso, dell’alimentare e dell’automotive.
In questa direzione è stato stipulato il protocollo d’intesa del 14 gennaio 2022 tra CONI e Comitato Promotore E-Sports Italia, mentre ai piani più alti il Comitato Olimpico Internazionale ha ammesso gli esport ai Giochi di Parigi del 2024.
L’auspicio condiviso dagli attori del gaming è ora l’adozione di una disciplina fiscale uniforme, che oltretutto porterebbe in dote gli obblighi di rendicontazione a carico delle associazioni di sport virtuali nazionali.
Retribuzioni
Sul piano della retribuzione si guarda invece al modello a franchigia, già adottato da diverse leghe sportive italiane, e che permetterebbe ai videogiocatori di arrotondare con i compensi derivanti dai tornei, giudicati insufficienti per considerarsi dei veri professionisti.
Non sono pochi gli utenti che dichiarano di essere “costretti” a monetizzare sui social, considerando dunque il mestiere dell’influencer come un grigio e accessibile compromesso per tirare a campare.
Così i player puntano in alto e chiedono di accedere all’offerta di benefit concessi ai grandi atleti come psicologo, nutrizionista, formazione (in particolare educazione finanziaria) e infrastrutture che hanno oltretutto rilanciato la brand reputation di un ampio parco di aziende. Insomma, tutte le criticità del settore sono state portate alle luce del sole, e ora si conoscono anche le proposte risolutive avanzate dai diretti interessati.
Ma come sempre accade quando si parla di digitale, le redini del progresso passano nelle mani della politica.
Riusciranno i player italiani a fare dei videogiochi la propria professione (con la benedizione del Pil)?