Poi arrivò la pandemia e all’improvviso tutti ci fermammo, scaraventati di colpo nel silenzio. E tutti fummo costretti a fare i conti con le nostre esistenze, in bilico tra una situazione estrema e la possibilità di chiudere gli occhi per sempre… Così ci trovammo a “gestire il terrore”, riflettendo, riassumendo, perdendo occasioni, pensando al futuro. Ecco, di questo, e di molto altro, parla ‘Immaginare l’inimmaginabile’ (Bollati Boringhieri), scritto da Jaime d’Alessandro, giornalista esperto di ‘cose’ tecnologiche ma che nel corso degli anni è riuscito a leggere e a capire, tra le pieghe del presente, il futuro che potrebbe venire. Ecco la sua testimonianza per i lettori di Primaonline.
“Quando si è sommersi dalle informazioni, la prima a inciampare è la percezione. Si finisce per prendere sintomi per cause, esterno con interno, futuro per passato. Oggi non ne vogliamo più sentir parlare, eppure fra il 2020 e il 2021 buona parte dell’umanità ha vissuto l’impensabile: miliardi di persone si sono dovute fermare loro malgrado trovandosi di colpo, nel silenzio, davanti allo specchio. E in maniera non sempre consapevole alla fine tutti hanno fatto i conti con la propria esistenza. Non era mai successo su scala così vasta, anche se delle implicazioni più profonde ce ne siamo accorti di sfuggita.
Chi lascia il proprio Paese per lavoro impiega fra i dodici e i diciotto mesi ad abituarsi alla nuova vita. A meno che non intervenga uno shock culturale, si arriva ad adattarsi. Apre le porte a un’esistenza diversa. Si inizia a guardare con altri occhi alla vita condotta quando si era in patria in base a una nuova scala di valori, relativizzando l’importanza di alcuni aspetti e capendo che invece altri sono centrali. In questo caso dobbiamo però aggiungere un altro fattore. Si tratta della teoria della gestione del terrore, la ricerca della dimensione qualitativa dell’esistenza quando ci si trova davanti a una possibile minaccia che potrebbe farla finire. Ogni volta che ci si sente vicini alla morte o in una situazione estrema, si tende a fare un bilancio della propria esistenza. A noi sono successe entrambe le cose nello stesso momento e il giudizio sul passato è stato tutt’altro che positivo.

Assieme alla condanna del passato, c’è stato però anche qualcos’altro: immaginare un’esistenza e una società che avrebbe potuto e dovuto essere diversa. Idee e progetti per rivedere radicalmente le metropoli, il lavoro, le relazioni, la mobilità. Merito dell’aver alzato lo sguardo da terra durante quella pausa forzata, come capita a chi espatria, stavolta in una dimensione collettiva.
Considerando chi siamo, come ragioniamo, cosa è diventata l’Italia dagli anni Novanta a oggi fra stipendi sempre più bassi, precarietà diffusa, rabbia, spopolamento, e come siamo arrivati davanti allo specchio, è stato un miracolo. Un evento meraviglioso, come lo intendevano i latini, se non contro le leggi di natura, quanto meno statisticamente improbabile. Peccato che a un tratto abbiano cominciato a soffiare i venti della restaurazione mentre erano già in atto vere e proprie ribellioni. Quei lavoratori, ad esempio, che hanno lasciato il proprio impiego voltando pagina, decisi a non tornare più alla vita di prima. Nell’incertezza di un’emergenza sanitaria.
Questo libro tratta di un paese che ha gettato via intere generazioni, ma racconta anche di sogni, percezioni, rivolte e risvegli negli anni che avrebbero potuto insegnarci molto. Non l’emergenza sanitaria vera e propria, i morti quindi, i ricoverati, coloro che hanno visto i propri cari sparire in un reparto d’ospedale: milioni di persone. Né dei bambini, adolescenti e ragazzi che hanno sofferto non poco nell’isolamento con conseguenze ancora oggi avvertibili.
Tratta degli altri: miliardi di adulti sottratti di colpo alla routine quotidiana”. (Jaime D’Alessandro)